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Ricetta Marocchina

  • Insalata marocchina di Carote e Datteri

    14 Aprile 2018Valentina

    Oramai è primavera, e un po’ per il detto “aprile dolce dormire“, un po’ per i primi tepori, in chiunque si affievolisce la voglia di cucinare, fosse solo per il fatto di evitare di avere una qualsiasi fonte di calore vicina a sé, dal forno, al fornello alla candela! Ed è per questo motivo che…

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Qual é la cosa che desiderate di piú al mondo, i Qual é la cosa che desiderate di piú al mondo, in questo momento? Vi prego, non cose irrealizzabili, tipo la pace nel mondo, i fiori nei cannoni, la vita sulla Luna, la cura all'aids, la fine della pandemia, la pensione di Renzi... una cosa prosaicamente materiale. 
Il regalo che da bambini avreste chiesto a Babbo Natale.
Una borsa Chanel? Un razzo missile con circuiti di mille valvole? 
Inizio io. Io desidero un Tandoor. Non il pollo rosso fuoco piccante con la crosticina intensa, proprio il forno, quella costruzione in terracotta dalla forma unica, conica rovesciata, utilizzata nel Medio Oriente ma soprattutto in India non solo per la preparazione dei vari murgh tikka, haryali tikka e compagnia bella ma soprattutto per il pane. Il Naan. 
Solo che ci vuole un muratore che ne capisca perché data la forma, dal tandoor al nido dei calabroni il passo é breve. 
Padre di tutti i contorni ai vari curry, cucchiaio soffice con cui raccogliere quelle sughelle speziate tipiche indiane (perdonatemi ma sto giá sbavando come i cani di Pavlov), nonostante ora se ne ottenga una versione dignitosissima anche con il forno di casa o una piastra in ghisa, il naan si cuoce letteralmente lanciandolo contro le roventi pareti interne di questo forno, si gonfia, si bruciacchia a mestiere. 
Tutto quello che viene cotto nel tandoor prende il nome di tandoori. Nel menu del mio ristorante preferito c'é proprio la sezione Tandoori (come antipasti, primi, secondi ecc) tutta ricca di pani, spiedini, cosciotti di pollo ma anche gamberoni. C'é da diventare matti.
Ora immaginate cosa ci potrei cuocere io dentro, avessi un Tandoor in giardino. Il Gateau Tandoori, la Jaipuri Parmigiana Tikka. Adorerei.
Trovate la mia versione sul blog, del naan senza tandoor, al link in bio.
Ho letteralmente adorato un ristorante a Chiusi, i Ho letteralmente adorato un ristorante a Chiusi, in provincia di Siena, La Solita Zuppa, un’osteria entrata nel circuito dei ristoranti Slow Food, che oggi ancora c’è, ma per me non è più lo stesso posto.
Prima lo gestivano due cari amici, Roberto e Luana, e solo la loro storia basterebbe a se stessa… il posto e il modo in cui si sono conosciuti, i tempi brevissimi in cui sono andati a vivere insieme, il modo in cui vivevano e vivono la propria vita… tutto questo faceva di loro due persone adorabili ed affascinanti.
Ci si andava sempre con due cari amici, Lucia e Cristiano, e morivamo letteralmente dalle risate perché, se al primo impatto i due gestori potevano sembrare oltremodo singolari, la seconda volta li adoravi, alla terza non riuscivi a farne a meno e alla quarta li volevi avere come membri di famiglia.
Affascinante era anche il modo che avevano di gestire quel posto, non vi era il menù, veniva da loro “recitato” di volta in volta ad ogni tavolo e preparavano prevalentemente zuppe di tradizione medicea con le verdure di stagione e pochi altri prodotti tipici toscani, strettamente toscani, assolutamente toscani. Luana poi era fantastica… nel “recitare” il menú e raccontando i piatti del giorno, alla parola “piccantino”, che lei usava sia per definire il retrogusto di questi tagliolini allo zenzero, sia quello dei Pici all’Aglione, strizzava l’occhio in una buffa smorfia e faceva un versetto coi denti. Ora che ci penso nel modo di parlare sembrava Nicoletta Braschi. Quando i nuovi gestori hanno venduto i coccini che luana e roby avevano con gli anni preso ovunque nel mondo, ed altri di terracotta personalizzati, mi si é spezzato il cuore.
La ricetta di questi tagliolini é nel link in bio.
Nonostante oggi ci si faccia tagliare le orecchie Nonostante oggi ci si faccia tagliare le orecchie per assomigliare agli elfi ed altre amenitá simili e quindi il fatto di tagliarsi via parti dal corpo quasi non faccia piú notizia, nel 1993 Lorena Bobbitt divenne famosa in tutto il mondo per aver tagliato durante la notte il fattapposta di suo marito John Wayne lanciandolo poi fuori dal finestrino della propria auto in corsa qualche km piú avanti, contro un'auto della polizia. 
Il motivo dell'evirazione non era il nome western del marito, state tranquilli. Era una fantomatica violenza subita, che peró prima ancora era una punizione, da lei stessa confessata, contro l'egoismo sessuale di lui che pensava solo a sé.
Da pazza che era, da antagonista femminile allo Chef Tony dei Miracle Blade, Lorena, da cui ad oggi non mi farei nemmeno togliere un callo, ora si occupa della violenza sulle donne, scrive libri, viene considerata una pia donna insomma.
Non ne parla piú nessuno se non la sottoscritta e un piccolo circolo di amiche, quando spunta sugli schermi, da un blog o un profilo Ig, l'ennesimo Banana Bread su cui, adagiate come il fattapposta senza vita di John Wayne Bobbitt, giacciono due metá della stessa banana, caramellata o no. 
É il motivo per cui per anni ho utilizzato le banane fraciche per preparare banana breads deliziosi, senza mai pubblicarli. 
Pur senza piripissi sfranti a decorazione, avevo sempre pensato che per differenziare il mio loaf da un plumcake normale, la presenza importante della banana andasse riconosciuta a prima vista. Insomma oltre che dentro la banana si doveva vedere anche da fuori... Ma mi sbagliavo. 
I'm back.
Banana Bread di @instablots online sul mio blog e come sempre link in bio.
Post del feed numero 500. Avrei festeggiato, foss Post del feed numero 500. 
Avrei festeggiato, fossimo stati in un altro periodo storico e dell'anno. Probabilmente con quei palloncini a forma di numero che usate tutti per dire che avete raggiunto numeri alti di followers col K, mentre io rimango ferma stagnante a poco piú di seimila. 
E come ogni stagno o lago o acquitrino che si voglia, dopo un po' si sente il puzzo. 
Mi é stato detto di far parte di gruppi follower per far salire i numeri, peró poi ci sta ninja che ti sgama e allora studia strategie, mezzucci, io condivido te tu salvi me, commenta con cinque parole, poi solo quattro piu emoticon, il tutto entro le 24 ore, meglio mezz'ora dalla pubblicazione di tizio o di caio, se no l'admin di turno ti caccia, ti banna, ma che davvero??? No mi dispiace, pensavo che dare ricette particolari in alcuni casi, corredarle di un testo che andasse oltre una citazione di Jim Morrison o di Osho fosse abbastanza. 
Mi é stato detto che sono troppo prolissa, altre volte che devo usare meno parolacce. Poi che usavo spezie introvabili, poi che facevo cose troppo banali. 
Poi ancora che le foto troppo belle inibiscono le persone a rifare le cose proposte da me. 
E intanto la sensazione di stare qui ad elemosinare collaborazioni mai arrivate e followers che non mi servono a nulla (tanto continuate a scrivere buona colazione tesoro, bravissima, che sono quattro parole piu un cuore, anche sotto piatti di carne) cresceva in modo inversamente proporzionale a quanto voi crescono i followers e i pacchi regalo da tizio e caio. Perfino gente che non sa nemmeno cosa sia la celiachia, che riceve derrate alimentari senza glutine.
E cosí mi arrendo, avete vinto voi. Voi con le grafiche da tuning auto, con la musica a palla mentre impastate nei reel, voi che con i piatti di carta e le tovaglie da gipsy avete piu successo di me.
A fine anno si butta dal balcone la roba vecchia, vero? Io butto via questo profilo, che mi ha sí regalato qualche amica/o virtuale, ma che evidentemente non ho saputo gestire io. Il blog rimane dove é, con aggiornamenti senza ansia da prestazione. E senza spiegare ogni volta cosa sia il link in bio. Tanto non ci avete mai cliccato.
Buon Anno a tutti.
Il detto "Santa Lucia la giornata piú corta che c Il detto "Santa Lucia la giornata piú corta che ci sia", lo conosciamo tutti, ma non sta a me dirvi che é 'na cazzata perché lo sanno tutti che il piu corto é il 21.
E mentre noi quel giorno noi siamo qui a contare le ore di luce, in Svezia il 13 Dicembre, si mangiano i lussekatter, i gattini di Santa Lucia, o le S di Santa Lucia o i Gattini di Lucifero, insomma briochone morbide allo zafferano ed uvetta. La tradizione vuole che essi vengano serviti da ragazze che, vestite di bianco come Santa Lucia, recano una corona di candele in testa e suonano di casa in casa portandoli in regalo ai bambini. Col freddo del 13 dicembre in Svezia. Capitele. 
La festa lí é molto sentita e "attesa", perché Lucia, morta da martire e poi diventata Santa, simboleggia il ritorno del sole per portare via l’oscurità dell’inverno. Tanto non credo che un pó di luce in piú serva a molto, per loro che sono abituati a centordici gradi sotto lo zero.
Immaginate invece me, che pur amando il freddo, ad Ottobre gia vado in giro come Nonna Abelarda dalle sacre pezze, a vivere mesi interi al Nord estremo dell'Europa dove notoriamente é sempre buio, in inverno e pure con le giornate corte. Mi dicessero che devo vestirmi con una vestaglietta bianca ed una corona di candeline in testa e girare di casa in casa a donare brioche, mi porterebbero dal primo esorcista. Anche Elsa di Frozen si rifiuterebbe. Figuriamoci io che sono la versione grassa e freddolosa del Grinch.
Restare incensurati é veramente da eroi.
A me normalmente basta una 3 giorni di pioggia per affilare le lame e caricare i fucili. Mi basta uscire in giardino nelle giornate nuvolose con la luce filtrata dalle nuvole grigie per fare la lista dei nemici. Fossi nata svedese stavo al gabbio sicuro.
Ogni anno mi limito a preparare i Lussekatter senza servirli a nessuno e soprattutto senza corona sulla testa perché come dice Roberto ho la testa grande e non trovo nemmeno il casco per lo scooter, e perché con la massa di ricci che mi ritrovo, farei la fine della torcia umana. Li preparo solo perché sono bellissimi (io lo zafferano non lo digerisco quindi manco mi piacciono). 
Link di archivio in bio con tutto il fattariello sul nome.
Ogni Natale, così come ogni Pasqua, le mie due zi Ogni Natale, così come ogni Pasqua, le mie due zie pasticcere di famiglia sfornano vassoiate di dolci tipici che poi vengono messi a confronto e sottoposti a giudizio dall’autorità massima in campo di mancanza di diplomazia: mio padre!

Quando mia nonna era ancora con noi, era la sola che provava a fargli i Rococò, e anche se il dentista di famiglia si sfregava le mani ogni Dicembre, tra carie e denti scheggiati, mio padre sosteneva, stoico, che erano mosci.
E lei ci riprovava ogni anno, anche oltre il periodo comandato delle feste.
Inutilmente.

Alla dipartita di nonna, i Rococò sono stati tranquillamente depennati dai vassoi di dolci delle nostre tavolate (anche perché oltre a mio padre non piacciono a nessuno) per far spazio a mostaccioli, raffioli e “zizze ‘e monaca” che zio Rino acquista in pasticceria così che le lamentele e critiche di mio padre siano rivolte direttamente all’esercizio!

Ora, le due zie che si sfidano sono una la sorella di mio padre e una la sorella di mia mamma.
E difficilmente dalla bocca di mio padre esce fuori che quelli della sorella di mamma siano migliori di quelli di sua sorella. La cognata per lui perde in partenza, per principio.

Abbandonati gli “amari” in bocca delle Pastiere pasquali, a Natale si ripete la solfa con gli struffoli, piccolissimi gioielli fritti e affogati letteralmente nel miele e zucchero caramellato e ricoperti di diavulilli (così si chiama l’insieme dei confettini “spaccadenti” colorati, tondi, minuscoli, che se ti si capovolge la bustina ricordi tutti i Santi dal 1 Gennaio a San Silvestro, talvolta ripieni di Anice).

Ad onor del vero mio padre, quando può, li mangia indistintamente tutti, così come di fatto mangiava i Rococò di mia nonna, ma la soddisfazione non la dà mai, c’è sempre un “anche se” che tiene vivo il pepe fino alle feste comandate dell’anno successivo.

Link in bio.
Oggi fatico a svegliarmi. Sto ciondolando per casa Oggi fatico a svegliarmi. Sto ciondolando per casa e sono le undici e sono in ritardo e sono al terzo caffè. Ieri ho fatto una full immersion per compilare ed ultimare il file che servirà all’avvocato per la Class Action (ricordate vero la storia delle foto rubate dal serissimo editore?) e ad altri personaggi che per ora non posso svelarvi, e che contiene tutti i 378 link ai siti derubati delle foto, due dei quali sono pure miei. Mi sono seduta, dopo le faccende domestiche minime di una grigia domenica mattina romana, alle 10e30 davanti al mac, e con la sola pausa pranzo, mi sono rialzata alle 19e30. Inutile dire come ho ridotto gli occhi, la schiena e le braccia. E che colpo ho dato alla mia sanità mentale. Non ho fatto domenica in pratica, ho addirittura dimenticato il pomeriggio trash davanti a Matrimonio a Prima Vista, al Castello delle Cerimonie e compagnia bella, davanti a cui mi annullo per non pensare a niente la domenica. Ma avevo voglia di finirlo e chiudere il capitolo Volume Natale, di dedicarmi ad aiutare le altre ragazze che analizzano gli altri volumi (sì, perché ne abbiamo in ballo almeno altri 3, due di quest’anno e uno dell’anno scorso) tanto quanto loro hanno aiutato me. E senza soluzione di continuità stamattina ho iniziato dopo il caffelatte a cercare le foto rubate dal volume del Dolci, tra TinEye, Google Lens, e la mera ricerca immagini di Google che nemmeno Nev e Max di Catfish. Mi sono resa conto, googlando parole chiave per cercare alcune foto, che spesso escono in prima pagina le mie fotografie, quindi ho capito che questi signori manco si sono stracquati più di tanto, hanno attinto dalla prima schermata, tagliando e mortificando tutto il lavoro che c’è dietro ogni scatto, sia esso fatto con la reflex che con un cellulare. Nel mio caso, per la foto del finto pesce, hanno accuratamente selezionato il solo scatto senza il tonno che pubblicizzavo. Ma gli è andata male lo stesso. Eccolo qua, dall’archivio del blog, il finto pesce di patate e tonno e una serie di cosine deliziose, che ho fatto a mano, senza alcun robot da cucina e che fa tanto estate pure a fine autunno. Link in bio.
Non ho mai amato molto le castagne, eppure questo Non ho mai amato molto le castagne, eppure questo era il periodo dell'anno in cui a casa dei miei era piú probabile mancasse il latte che non le castagne. Il problema è che a mia mamma piacciono sul duro andante e quindi le stracuoce, un po’ lei un po’ il suo forno che, a memoria d’uomo, ha sempre funzionato male. E io le ho sempre e solo viste fare a lei o a mio padre che solitamente dai fornelli sta alla larga, ma con le castagne non resiste, indossa la parannanza e si mette ad intagliarle come un ebanista con un legno pregiato. Il problema vero non era tanto il loro venire definitivamente croccanti, quanto quella fastidiosa pellicina pelosa che inevitabilmente, con la cottura sbagliata, si sedimentava tra le rughe del frutto, e io che sono ipersensibile, vomitavo ogni 3 castagne ingerite al minimo sentore di pellicina in gola.

Mia madre poi, quando Emilio (il fruttivendolo dei “moscioni”, lo ricordate?) aveva i marroni, amava lessarli, con l’alloro (e sono sicura ci fosse del sale). Il solo odore mi dava la nausea. Però, di contro, AMO e ADORO la crema di marroni (o come la chiamava mio nonno, la marmellata di castagne, tanto a casa nostra non c’era nessuna maestrina che gli sindacasse che le marmellate sono solo di agrumi e doveva chiamarla casomai confettura… evviva l’ignoranza alle volte).

Ogni tanto mi lascio ‘mblusare (fare fessa) da quei venditori ambulanti per strada che insieme ai rotoloni di scottex, ai rotoli di sacchi di immondizia, a seconda della stagione hanno cassette di fragole, sacchi di juta di patate e ad oggi, reti di castagne. Quelle all’esterno sono perfette, lucide, enormi, "marroni di Viterbo" recitano i cartelli, tant’è che ti convinci che stai facendo un affare a pagare 4 euro, 10 chili di castagne. Poi vai a casa e tranne quelle esterne, probabilmente incollate alla retina come una fodera interna, dentro sono tutte coi bachi.

Qualche giorno fa mi è apparsa come una visione una foto di castagne meravigliose, e mi sono soffermata a leggere il divertentissimo post con il procedimento scritto dalla mia amica Maria, che trovate su Instagram come @mabka_senza_lattosio. 
Procedimento che non lasceró piú. Lo trovate da lei o in bio.
Che cosa significa fare rete? che cosa significa r Che cosa significa fare rete? che cosa significa rispetto? Che cosa significa condivisione? Me lo sono chiesto continuamente in questi giorni in cui, a seguito di un episodio oramai sulla bocca di tutti, insomma la scoperta di essere stati derubati (e chissa da quanto va avanti la faccenda) del nostro "lavoro", mi sono trovata sommersa di ringraziamenti, cuori, e soprattutto aiuto da parte di persone, blogger o meno, che fino a qualche minuto prima nemmeno conoscevano la mia esistenza. Ho fatto ore di ricerca perché spero sempre che anche qualcun altro, dovesse riaccadere, farebbe lo stesso. Un dovere morale sulla base del rispetto per il lavoro mio e di tutti. Un senso di giustizia intrinseco, che forse mi porterá pure una denuncia. Oltre al danno la beffa ci mancherebbe. Sono stata sommersa di solidarietá, alcune persone hanno dedicato tanto tempo quanto ne ho dedicato io alla ricerca degli autori depauperati dei propri scatti, e ho ricevuto anche dei giudizi che mi fanno cascare le braccia, onestamente. E' ancora troppo diffusa la credenza, sbagliata, che se metto una foto online essa é di tutti, "dell'etere" per citare chi mi ha scritto di non perdere tempo. Forse nel 1500 semmai ci fosse stato internet allóra, ma oggi non funziona cosí. Conoscete il copyright? Diritti d'autore, anyone? Proprietá intellettuale questa sconosciuta, maybe?
E poi é cosí bello rispettare e far conoscere il lavoro altrui, anche semplicemente taggando gli autori, citando le fonti. É il solo atteggiamento che darà finalmente rilevanza a quello che molti pensano sia un passatempo, un "che ci vuole", a volte anche un "chi te lo fa fare", un dovere alle volte, ma mai un lavoro, che richiede soldi, tempo, studio, ricerca e che viene da noi blogger elargito, mettendo tutto questo sui blog, fruibili da tutti, gratis et amore dei. Che la ricetta sia mutuata da altri o meno, ogni foto a corredo é una irripetibile opera d'arte.  Polpette di Broccolo e Limone, glutenfree in bio ricetta di @pixelicious.it
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