Ultimamente sono poco tollerante. E lo sono a 360 gradi.
Da un mero punto di vista fisico, mi sono aumentate le intolleranze alimentari. A quelle già note al riso e al lattosio, si sono aggiunte quella alla verdura a foglia cruda, all’aglio e al pomodoro.
Ma la intolleranze più grandi le nutro verso le persone.
Non tollero le prosopopee, mal sopporto le persone che si autoincensano, meno che mai reggo i vari “servi della gleba” che, dall’esterno, sembrano solo marionette disperate e persone che annaspano per restare con la testa fuori dal guano in cui galleggiano.
Detesto i falsi umili, coloro che si mortificano e si autoflagellano con virtuali gatti a nove code, solo per sentirsi dire quanto invece son stati “bravi bravetti“.
Rido a bocca larga di coloro i quali, soli come le particelle di sodio della più nota pubblicità dell’acqua Lete, inventano storie di vita rocambolesche, a cui Via col Vento e General Hospital fanno un baffo.
Detesto chi, appena mette un piede in un paese straniero, se ne fa subito esperto, e per fortuna sti personaggi nella mia vita non ci sono più.
Ma soprattutto, ciò che tollero di meno, è il fatto che la gente, da dietro lo schermo del proprio computer, si collega a Facebook e giudica, punta il dito, risponde a membro di segugio, a seconda del proprio umore.
Poi per fortuna ci sono le eccezioni, che ti fanno ancora sperare che in questo mondo un po’ del cazzo (consentitemelo) dei foodbloggers, qualcuno disposto a fare uno scambio di informazioni e non di saccenza, ancora esiste. E un esempio di scambio di consigli che ha poi ben fruttato, è derivato da una fotografia che misi un annetto fa di una melanzana che arrostivo sul fornello, come sempre fatto da anni, per preparare poi il Babaganoush.
Il fidanzato di mia cugina, Flaminio, docente di cucina in un istituto alberghiero, mi consigliò, nei commenti, di evitare il contatto diretto della melanzana con la fiamma e da lì si scatenò una piacevole conversazione tra alcuni amici. Alla fine della conversazione addivenimmo tutti al fatto che probabilmente, considerato che per la preparazione del Babaganoush le melanzane si devono affumicare mentre si “ammosciano”, e che il forno non sempre le “bruciacchia” a modino, una padella per castagne (quella che si mette sulle braci del camino, per capirsi, con i fori larghi sul fondo) era la soluzione migliore, per evitare, come suggeriva Flaminio, il contatto diretto con la fiamma di metano! Tutto questo perché, mannaggia la majella, in Italia non vendono l’apposito strumento turco che si appoggia sui fornelli e consente la bruciacchiatura perfetta delle melanzane e di tutte le verdure che devono essere affumicate!
Preparo spessissimo il Babaganoush, o caviale di melanzane, comunque vogliate chiamarlo è la stessa cosa, e da quel giorno lo ho sempre preparato arrostendo le melanzane sul fornello nella padella delle castagne, ma questa è la prima volta che lo preparo con il puro intento di fotografarlo e pubblicare la ricetta, che poi è unica per tutti con leggerissime varianti da paese a paese del bacino mediorientale, qui sul blog.
E nonostante venga sempre buono, credetemi, la cosa più difficile è la fotografia. Perché sfido chiunque a preparare una purea di un agglomerato di cose marroni, e non farla sembrare una poltiglia masticata e digerita, o peggio, vomitata, o peggio ancora, letame di mucca colitica.
Da qualche mese poi, avendo sviluppato anche una intolleranza all’aglio, per la preparazione del Babaganoush, lo arrostisco in forno. Se ne utilizzano diversi spicchi, e quindi non faccio altro che tagliare la sommità ad una intera testa d’aglio, ungerla con pochissimo olio, ed arrostirla in forno. Dopodiché la spremo nello schiacciapatate, e utilizzo la crema, marroncina anch’essa, che ne risulta, per aromatizzare il Babaganoush che in questo modo non vi si riproporrà per i successivi 3 giorni, uccidendo zanzare e caimani tutt’intorno.
Il Babagnoush è una “salsa”, un dip come fa tanto figo dire adesso, un intingolo denso, che viene mangiato solitamente con pane arabo, pita, o con verdure, qualsiasi cosa che, in un certo senso, consenta di raccoglierlo a mò di cucchiaio, e finirlo nel tempo di un’ Ave Maria. E di solito lo si accompagna ai falafel (che però io non amo e non ho mai preparato).
Come l’hummus, di prossima pubblicazione anch’esso qui sul blog, questa salsa dall’aspetto cremoso, è preparata con pochi semplici ingredienti tra cui melanzane, la tahina (altra salsa mediorientale a base di semi di sesamo), limone, olio ed aglio, appunto.
4 Comments
Elisa Baker (Flavia)
19 Giugno 2018 at 8:21
Ma come Flaminio è ex??? Nooooo c(e ci servivano ancora i suoi consigli!!! Comunque grazie per la pubblicazione della ricetta, che a votazione ha vinto eh… in ogni caso grazie cara e per fortuna mi tolleri cara Ahahahahahahah, baci e buona giornata, Flavia
Valentina
19 Giugno 2018 at 8:23
Muoro. Si Flaminio è ex, ma ancora lo “possiedo” nelle amicizie, quindi ci darà altri consigli.
silvia
17 Giugno 2021 at 12:56
si dice e scrive: muoio
Valentina
26 Giugno 2021 at 8:36
L’elasticità mentale e i modi di dire questi sconosciuti, vero? Immagino tu non abbia visto Masterchef e ignori l’espressione di Bastianich “vuoi che muoro” giusto? Ad ogni modo lectio magistralis di grammatica qui a casa mia, anche no, grazie. Insegna altrove.