Oggi è venerdì e a partire dalla mattina, in ogni casa ebraica del mondo, si impasta il pane più buono, simbolico e affascinante di tutti, la Challah. Ho sentito pronunciare il suo nome in mille modi, da “scialla” a “cialla” con inflessioni dall’inglese al demente, ma si pronuncia con la H aspirata e sonora, sia ad inizio che a fine parola, con l’accento sull’ultima a. E’ il pane che si consuma per Shabbat, il sabato di riposo per ogni ebreo.
La parola Shabbat, deriva dal verbo ebraico shabat che significa “smettere” e, nello specifico, si riferisce alla regola che prescrive di cessare determinate azioni e attività, prima fra tutte il lavoro. La Genesi racconta che Dio, dopo aver creato l’universo in sei giorni, si riposò al settimo. Questo fa si che, ad ogni ebreo praticante, sia richiesto di astenersi dal lavoro e da tutta una serie di attività a partire dal venerdì sera per potersi consacrare completamente a Dio il sabato. In realtà, poiché la religione giudaica identifica l’inizio del giorno con il tramonto, lo Shabbat inizia col tramonto del venerdì e termina con il tramonto del sabato.
Si racconta che poiché il popolo ebraico, durante il cammino di quarant’anni (Esodo) nel deserto, non poteva raccogliere la manna al sabato, giorno tradizionalmente destinato al riposo, Dio provvide a donarla loro in razione doppia ogni venerdì sera. In questo modo, l’avrebbero avuta nella loro disponibilità anche al sabato. In ricordo di questo evento, ancora oggi, i fedeli preparano il venerdì almeno due forme di pane, custodite all’interno di panni di stoffa bianchi, sistemati uno sopra l’altro, a ricordare lo strato di rugiada che ricopriva sopra e sotto quel prezioso cibo celeste che era la manna.
Il venerdì sera per gli ebrei è un momento molto sentito ed importante. Ci si riunisce, si recita una preghiera che si chiama kiddush nella quale si rende grazie a Dio per aver creato il mondo ed essersi riposato il settimo giorno, e si benedicono il pane e il vino.
L’impasto della Challah (plurale Challot) è simile a quello del panbrioche, come consistenza, e preparata senza burro e senza latte in rispetto alle regole alimentari ebraiche (Kasherut) che non consentono l’assunzione insieme di carne e derivati del latte, ha un sapore neutro, che permette di accompagnarla sia a cose salate, quindi consumato durante i pasti, che dolci, quindi mangiato a fine pasto o a colazione. Le operazioni di preparazione e di offerta delle challot, sono ad appannaggio esclusivo delle donne di famiglia e seguono regole severissime e ben precise.
Innanzitutto l’obbligo di prelevare la challah dipende dalla quantità di farina e dagli ingredienti usati nell’impasto. Essa, infatti, si preleva unicamente dai pani realizzati con farina di avena, grano, orzo o farro spelta.
Se nell’impasto sono stati utilizzati meno di 1200 grammi di farina, la challah non deve essere prelevata. Se la farina utilizzata è di almeno 1200 grammi la challah si preleva ma senza impartire alcuna benedizione alla stessa perché la benedizione è prevista solo se il quantitativo della farina pesata è di 1600 grammi o più.
Le Challot si servono al sabato, sempre in copia, sulle tavole delle case ebraiche, a simboleggiare quindi la doppia dose di manna dal cielo elargita da Dio agli israeliani nel deserto.
Con qualsiasi cosa le si mangi, è importantissimo sapere che le challot non si tagliano mai col coltello, ma si spezzano con le mani. Anche il pezzo che si toglie dall’impasto ancora crudo per offrirlo a Dio va spezzato, e di solito è una piccola quantità di circa 30 grammi.
La parola Challah, infatti, significa“perforare”, “fare un buco”, ed originariamente si riferiva proprio al pezzo di impasto che doveva prelevarsi per essere offerto a Dio, prima di effettuare gli intrecci.
A parte le roselline che vedete da me realizzate con gli esuberi dell’impasto delle Challot, di solito esse si intrecciano. E anche le trecce, in base a quanti capi le compongono, hanno un significato simbolico.
Innanzitutto la treccia di una Challah può avere fino a 12 capi di pasta. Le trecce a tre capi simboleggiano la pace, la verità e la giustizia. Quelle a 4 capi intrecciati simboleggiano l’amore perché rappresentano le braccia incrociate degli innamorati. Una treccia a 12 capi o 2 trecce a 6 servite insieme rappresentano le 12 tribù d’Israele.
Potrei andare avanti per ore a raccontarvi queste cose ma smetto di tediarvi, anche perché credo che vi si siano già intrecciate le meningi.
Quella che ho preparato io è una treccia a sei capi, chiamata Royal 6. Ha due capi completamente tempestati di semi di sesamo. I piccoli semi di sesamo o papavero che spesso ricoprono il pane totalmente o in parte ricordano i fiocchi di manna che Dio fece cadere dal cielo. In giro per il web trovate decine di intrecci diversi, ma io li imparo da quello che per me è il non plus ultra della simpatia e bravura, Idan, o meglio ChallahPrince.
Se non siete ebrei potete assolutamente evitare di preparare tanto impasto per preparare due Challot, e dedicarvi semmai alla creazione di una treccia che fa sempre effetto wow e scena, e piccoli panini dalle forme strane. Le roselline, come nel mio caso, o anche le melette, che sono un altro simbolo della festa ebraica del capodanno religioso ebraico che si chiama Rosh Hashanah.
Per realizzare la Royal 6 cliccare qui per seguire il video tutorial di Idan. Per realizzare le roselline, cliccare qui