“inde domum me/ad porri et ciceris refero laganique catrium”
“quindi torno a casa, alla mia scodella di ceci, porri e pasta” […]
La storia dei Ciceri e Tria affonda le sue radici in un tempo lontanissimo, tanto che già Orazio, noto poeta latino, ne parlava nella sua opera maggiore, ossia Le Satire, scritta tra il 35 e il 30 a.C. Orazio parlava di una minestra di pasta, ceci e porri, indicando la pasta con il nome di lagane.
Si tratta di una pasta simile a spesse tagliatelle, che in Basilicata conserva ancora questo nome, mentre in Salento è diventata “tria“, termine che indica la pasta secca e si è diffuso dalla Sicilia, dove gli spaghetti sottili vengono chiamati “tria” (in lingua dialettale) e “itryah” in arabo, che significa “pasta fritta”.
La cucina salentina affonda le sue origini nell’antica civiltà contadina, umile e povera, per gli ingredienti utilizzati, ma ricca di sapori e di fantasia. E’ fatta di farine poco raffinate, di verdure dell’orto o selvatiche, pesce azzurro, molluschi: poca, scarsissima la carne (le parti meno nobili dell’agnello, il cavallo) . Proprio per questo è cucina di fantasia e di qualità e porta i segni delle tante dominazioni che si sono avvicendate in questa terra. Numerosi sono i piatti che si possono gustare in questa meravigliosa terra, molto richiesti non solo dai turisti che li assaggiano per la prima volta, ma anche dalla gente del posto. Ciceri e Tria si trova in quasi tutte le trattorie del Salento, in alcune a seconda della stagionalità degli ingredienti principali ossia i ceci.
Ma cosa rende tanto particolare i Ciceri e Tria? Si tratta di un piatto a base di pasta fresca senza uova, con farina, semola rimacinata, acqua, sale ed olio d’oliva. Questa viene in gran parte lessata e in parte fritta, e condita con i ceci, elemento comune con la cucina araba. In tutto il Medioriente si usa infatti mangiare l’hummus, un purè di ceci con tahiné (crema di semi di sesamo salata), assieme a una pasta fritta in olio che assomiglia agli italiani capelli d’angelo. La particolarità del piatto è data proprio dalla pasta fritta e perciò croccante che si aggiunge a fine cottura al piatto.
Un tempo Ciceri e Tria era la pietanza tipica del 19 Marzo, ossia della festa di San Giuseppe. Queste pappardelle fritte, infatti, formano nel piatto dei movimenti e delle consistenze che richiamano i trucioli del legno. Quale miglior tributo, dunque, al padre falegname di Gesù?
In realtà, nonostante sia un piatto immancabile in questa ricorrenza, Ciceri e Tria viene cucinata nel corso di tutto l’anno e rappresenta uno dei piatti più in auge nelle sagre estive salentine.
Ho preparato il piatto in base alla ricetta tradizionale datami dalla nonna di una carissima amica di Lecce, e ho cercato di friggere la tria dandole la forma di truciolo, appunto. Solo un paio di strisce sono venute abbastanza tondeggianti e le ho utilizzate nella decorazione superiore del piatto. Era la prima volta che mangiavo Ciceri e Tria e li ho mangiati fatti da me. Un sapore indescrivibile, ottimo, scioglievole. E la pasta fritta è una sorta di droga, per fortuna ne avevo fritta in più, conoscendomi, e la ho mangiata a mo’ di patatine!