Da quando è finito il lockdown, ho ricominciato, con qualche pausa, a fare allenamento all’aperto, almeno finché il clima me lo consentirà (poi dopo dovrò andare in palestra). Ho ripreso ad andare a Tor di Quinto al laghetto, ma la stessa mia pensata la ha avuta tutta Roma Nord, tant’è che ho optato per la camminata nel comprensorio dove vivo. E mi sono fatta due nuove amiche, Giulia e Martina, con le quali perlustro in lungo e in largo la zona. E se è vero che conosciamo i nomi di tutti i cani del quartiere, salutandoli quando passiamo davanti le loro ville, meno noti ci sono i nomi delle persone che camminano come facciamo noi. Li incrociamo ma nemmeno sappiamo in quale delle 500 ville vivano (fatti salvi due casi di miei vicini di casa). E così abbiamo finito per chiamarli con un segno di riconoscimento che inequivocabilmente ce li fa “identificare” universalmente.
Come la figura retorica della sineddoche, una parte per il tutto, abbiamo Anastasia (leggi “anastescia”), un ragazzo scontroso che corre e non saluta mai e che indossa quegli occhiali con le lenti piccole che si scuriscono col sole, come la cantante pop di qualche anno fa.
Poi c’è Penna Bianca, un runner di età avanzata con un capello candido e vaporoso, che pur di non salutarci, si rivolge a muretti ed aiuole, fingendo distrazione. Sia la mattina quando corre, sia al pomeriggio tardo quando porta il cane a passeggio.
C’è Nino Sarratore, un ragazzo dall’età indefinibile, aria da esistenzialista, praticamente identico all’attore dell’Amica Geniale, solo col ciuffo piastrato, stessi occhiali, stessa verve da bigattino, stesso vestito casual, camicia e calzoni kaki. Sta lì seduto sulla panchina della sola fermata del servizio di bus privato che abbiamo nel comprensorio, gambe accavallate, arrotola la sigaretta, si alza e cammina sognante, come il Sarracino della più nota canzone napoletana (‘a sigaretta ‘mmocca, ‘a mano dint’ a sacca). Nino Sarratore cammina rigido come se avesse inghiottito una scopa per intero, e fa lunghi passi incrociando le gambe come le falcate di Naomi ai tempi d’oro in passerella.
Poi c’è Felicione, un tipo oltre la quarantina, con la ritenzione idrica come me, che cammina sempre stremato, ma nonostante tutto ci regala sempre, oltre il saluto, un sorriso esagerato, felice di sudare, felice di farsi un mazzo tanto. Felicione è quello che ci incuriosisce di più, ed è quello col quale potenzialmente camminerei più volentieri, più affine a noi e più cordiale almeno all’apparenza. Gli abbiamo attribuito mille mestieri, anche lo psichiatra, essendo passate mille volte davanti una delle ville ed avendo individuato solo al 999esimo passaggio una targa di studio di psicologia (salvo accorgerci poi che era una donna).
C’è inoltre Enfisema, un tipo sulla sessantina inoltrata, sempre grondante di sudore che corre col buio pesto, per essere certo di essere (quasi) solo perché, mentre la gente normale inspira ed espira, lui fa dei versi tipo accoppiamento dei mufloni. E vi assicuro che trovarvelo nel buio e sentire questi rumori assurdi, vi fa trasalire e pensare di essere preda di lì a poco di un attacco di mamma cinghialA.
Poi c’è l’Ansioso, un vecchio insopportabile a cui non va bene la cura che ci prendiamo di due cani abbandonati nel proprio giardino dal proprietario, il cosiddetto “Brasiliano”. L’Ansioso vive di fianco al Brasiliano, e accusa chiunque si fermi a fare due carezze o dare qualcosa da mangiare ai due cani abbandonati, di qualsiasi cosa, dal buco nell’ozono all’aumento degli uccelli sopra la sua casa (questa è veramente così).
Il Brasiliano è il solo che non abbiamo mai nemmeno visto, ma se ne narra la storia, che come nei migliori pettegolezzi di paese, di bocca in bocca si arricchisce di dettagli e particolari più o meno scabrosi. E’ un vecchio che, single tutta una vita, alla veneranda età di 70 anni si è innamorato online di una brasiliana e se ne è andato in Brasile, lasciando i cani in giardino alle cure del fratello prima, e della colf poi.
Legato alla causa della gestione dei cani del Brasiliano, perché lui è del partito “sto stronzo va denunciato e je vanno tolti i cani“, abbiamo il Pompiere, un ragazzo tatuato dalla testa ai piedi, che estate o inverno che sia, gira col pitbull sempre vestito alla stessa maniera, barba lunga ed ispida, maglia nera, bermuda camouflage, anfibi, catene varie, insomma uno che se lo vedi ti caghi sotto, che pensi sia uno scappato dal Leoncavallo, ma che invece è buono come il pane e fa un lavoro preposto a difenderci. Ieri sera (13 settembre) ho incontrato il pompiere e parlando mi ha detto di essere disoccupato. Quindi la voce di popolo che lo voleva vigile del fuoco era una balla. Ma con buona pace di tutti, per noi resterà sempre il Pompiere.
Poi c’è Santa (Babbo Natale fa meno sfottò), un uomo col pancione enorme, che si muove con lentezza nel proprio giardino in maglia di lana della salute sia in estate che in inverno, e ha barba e capelli lunghi e candidi, come Babbo Natale stanco a fine consegne che si toglie il vestito rosso e resta sciallato. Ma meno simpatico, anzi, forse é un cacacazzi.
Inoltre c’è il Fratello di Manolo, che non è la mia tartaruga, ma un tipo del posto che ha partecipato al Contadino Cerca Moglie. O perlomeno non sappiamo affatto se sia il fratello, ma è praticamente identico. Manolo alleva mucche, e questo “fratello” entra tutte le mattine con un pick-up in una tenuta confinante col comprensorio, il cui accesso è proprio dal comprensorio stesso, ed esce con 3 taniche di alluminio di quelle da latte. E’ stata perciò una conseguenza logica pensare che fosse suo fratello e chiamarlo quindi il Fratello di Manolo.
E poi c’è Benetton, un ragazzo di colore che si confonde col buio pesto della zona male illuminata, che stanzia su un muretto di fronte casa del Mercante, dove rimane, al telefono, tutta la notte. Lo ritroviamo infatti la mattina quando noi, fresche (oddio) e riposate ricominciamo la prima parte del quotidiano allenamento, e lui torna a piedi verso chissà quale casa. Forse fa in incognito il guardiano di notte al magazzino del Mercante, e ci domandiamo che tipo di cellulare abbia, perché la batteria gli dura ore ed ore, come quella delle signorine sulla Salaria.
Al tempo di mia nonna questi soprannomi erano cosa comune, gli “strangianomi”: uno su tutti, Nanninella Zizz’e pezz‘. E ora devo trovarne uno per questi “cosi” con le mele. Sì perché avevo salvato anni fa questo tutorial che vedete di seguito, da Pinterest, non tanto per la ricetta (che è, come vedrete, una cagata atomica), ma per la “chiusura” simpatica della base di sfoglia, insolita più che altro.
In casa sono arrivate due tartarughine nate a casa di un vicino di Roberto, che ho chiamato PippoBaudo e Katia Ricciarelli. Hanno appena 20 giorni e sto capendo cosa gli piace di più e cosa schifino. La mela, e ne avevo comprato un bustone, non gli piace, l’nsalata mista nemmeno, il lattughino e il songino sì. E anche il basilico. Volevo prepararmi un dolcino con le mele, avendone in casa una quantità esagerata, e mi sono ricordata di questo tutorial. Solo che non sapendo dargli un nome, a questa forma insolita, ho deciso di chiamarli “cosi“.
Voi come li chiamereste?
Dopotutto è solo una forma diversa ad un dolcino identico negli ingredienti, che avevo già pubblicato, le mezzelune alle mele. Quindi saccottini, fagottini, cestini, non vanno bene. Dai su, ammettetelo, “cosi” di sfoglia alle mele va benissimo. Altrimenti chiamateli come vi pare, basta che, come i suddetti personaggi, siano riconoscibili.
1 Comments
Laura
15 Settembre 2020 at 19:59
Che spettacolo questa ricetta di una cagata atomica 🤣bellissima invece io li chiamerei cosini di mele atomici ❤️