Caratteristica comune alle nonne, perlomeno parlo delle nonne di persone della mia generazione o di poco più grandi di me, era quella di storpiare le parole. Forse una scolarizzazione basica, un susseguirsi di innovazioni, prestiti linguistici dall’inglese, da cui sono state sopraffatte, gli ha messo in bocca parole che ripetevano più per sentito dire che per reale conoscenza. Mia nonna dopotutto chiamava Pippo Babbo anche il buon Baudo.
Forse è per questo motivo che la nonna di un mio ex, mentre la famiglia stava decidendo quale razza di cane prendere a protezione del loro mobilificio, disse che aveva appena sentito al telegiornale che i cani Whirlpool (pitbull) appartenevano alle razze pericolose per le quali ci voleva la museruola anche per portarli a spasso. Stesso dicasi per i dolori al panx (pancreas) e la paura della trombois (trombosi) di cui soffriva la nonna di una mia amica.
Abituate a Carosello e a poco altro, per loro era anche facilissimo confondersi sineddochicamente tra conduttore e trasmissione, ragion per cui qualcuna faceva tardi la sera per guardare fino alla fine Vespa a Vespa (Porta a Porta). Anche i grandi marchi di moda, prêt-à-porter o alta moda, con oggetti di tecnologia arrivati tutti insieme nelle loro case, le hanno rimbambite forse ancora di più, ragion per cui mia zia si trovò in merceria a chiedere le calze Philips e le pile Panacef.
Mia nonna aveva una serie di espressioni tutte sue, tra cui il paté (patema) d’animo la faceva da padrone, e non sapendo quale fosse il nome italiano della preparazione, chiamava tortn il tortano, pronunciandone solo le consonanti per non sbagliare, come un codice fiscale.
Deve essere stato così anche per Annalù, autrice insieme a suo marito Fabio del blog Assaggi di Viaggio, quando sua zia ogni anno in questo periodo preparava e le offriva le Fascingraffe. Lei credeva che si trattasse di una parola di famiglia, come un codice, un termine per indicare una ricetta di conoscenza e preparazione esclusiva del proprio nucleo familiare, quando in verità si trattava della ripetizione del suono di Fasching Krapfen, i bomboloni fritti, solitamente dolci, imbottiti a crudo e fritti, come si fa con i Sufganyot ebraici. Nomi tramandati io forma solo verbale, che non si sapeva però poi scrivere, come i monsù (monsieur), il gattò (gateau) di patate e il sartù (sur tout) di riso.
Ad ogni modo io ho adocchiato le fascingraffe di casa Vingiani da qualche annetto, ma non ho mai avuto il tempo e la propensione per prepararle. Però, complice una convalescenza a riposo forzato a casa dopo l’intervento all’utero, ho pensato che questo fosse il momento giusto. La concomitanza della mia collaborazione con Emmedue Salumi poi ha fatto il resto, perché tra i salumi selezionati per me da Roberta Marino, la deliziosa proprietaria erede dell’azienda di famiglia, c’era il mio preferito in assoluto: la soppressata.
Dovete sapere che tra i clienti di mio padre ce n’è uno della provincia di Avellino, Agostino, che ogni Natale lo omaggia di due soppressate enormi, che da anni fanno tutte la stessa fine: una a Natale, nel vassoio di affettati di antipasto, insieme a salamelle varie di stirpe mista e una a Capodanno. Un pezzo di entrambe finiva sempre nel famigerato tortn’ o nel ripieno dei panzerotti di mia nonna, a cubetti. Ho sempre pensato che quella di Agostino fosse la madre di tutte le soppressate perché davvero sublime. E da quando i Natali di un tempo a casa mia non sono più motivo di riunione, senza i nonni e con noi sparsi per tutta Italia, credevo che mai avrei potuto più riassaggiare la mia amata soppressata di Agostino.
E invece ho trovato un sapore identico, la stessa magrezza laddove per carni magre io intendo quelle prive di terminazioni nervose e grassi vari, nella strepitosa soppressata Emmedue, senza conservanti.
I salumi Emmedue sono senza lattosio e senza glutine, io posso mangiarli tranquillamente, non solo per questo ma anche e soprattutto perché i lardelli di grasso sono pochissimi e ben distinguibili.
Per anni a casa mia mi hanno presa in giro perché viviseziono letteralmente qualsiasi salume privandolo dei “pallini” di grasso. Vedermi mangiare una salsiccia (quelle coi friarielli) equivale ad assistere a un intervento a cuore aperto e a detta di chi mi ha visto é una operazione abbastanza disgustosa… tanto vale non mangiarla, lo dico sempre.
E invece finalmente con la soppressata Emmedue rivivo l’emozione di ridare un morso pieno senza paura del grasso. Sono preparate con carni meravigliose, di suini adulti tutti italiani, hanno un sapore eccezionale, che mai avrei pensato di poter riassaporare. I salumi Emmedue sono una vera e propria emozione.
Ho scelto di utilizzare la soppressata per il ripieno delle Fascingraffe di Annalú, fatto con ricotta vaccina asciutta, provola affumicata, pepe di mulinello, fornito anch’esso dalla ditta, e soppressata affettata all’affettatrice e ridotta a coltello in piccoli coriandoli, per restare in tema carnevalesco anche nel ripieno.