Credevo che fare in casa una frisella fosse un’operazione difficilissima, ad appannaggio esclusivo di chi con i lievitati ha quella dimestichezza che sempre più spesso vorrei avere io. E invece leggendo la ricetta di MariaRosaria Cuomo, ragazza dolcissima e di grande generosità conosciuta su Instagram, ho capito che se si ha un buon prodotto di base, e in questo caso nulla meglio delle farine Caputo, il risultato è assicurato. Per le friselle poi ci va solo in più quella santa pazienza nel plasmarle e un po’ di mano di amianto nel praticare il taglio a metà per la seconda cottura, quando sono appena uscite dal forno.
Maria Rosaria prepara dei lievitati bellissimi, invitanti, la cui croccantezza in alcuni casi e morbidezza in altri, sono tangibili anche attraverso lo schermo del computer o del cellulare. Tant’è vero che la tanto inflazionata torta Wool Roll, che ha rifatto tutto il web tranne me, è stata scelta dalle suddette Farine Caputo per il loro feed, come esempio di risultato che si può ottenere con i loro prodotti. MariaRosaria è autrice di un neonato blog su piattaforma Giallo Zafferano, che vi invito a visitare per avere certezza di riuscita di tante ricette specialmente della tradizione napoletana, che ci accumuna. E in questi mesi siamo accomunate anche dai lavori in casa che sembrano eterni, e dalla mancanza della cucina. Leggere le nostre chat è come assistere alle litanie delle vecchie in preghiera.
Ad ogni buon conto, le friselle a casa mia facevano ingresso solo quando mamma mandava il famoso pacco da giù, durante le tappe di mio fratello in Puglia, che le prendeva per sé e per tutta la sacra famiglia. Ma da quando ho scoperto che sono capace anche io a farle, patisco meno quando i tempi di arrivo del pacco da giù si allungano. Quando le ho preparate seguendo scrupolosamente la ricetta di MariaRosaria, ero nella fase di eliminazione totale del sale, e così me lo sono completamente dimenticato. Nonostante ciò, durante la cottura delle friselle nel forno, per casa si è sparso un profumo celestiale, di panificio. E quello stesso odore biscottato è rimasto nel forno per giorni, facendomi sorridere il cuore ad ogni apertura. Perché uno dei profumi che più amo al mondo, è quello del pane caldo, appena sfornato.
Quando entravo da Marasca da piccola, a prendere il pane bianco o lo sfilatino o la semplice pizzetta rossa (a proposito, a breve preparerò anche io le pizzette rosse del forno con la ricetta infallibile di Paoletta Sersante), avrei voluto fermare il tempo, e restare in quella nuvola di profumo per sempre. Invidiavo la mia amica elisa che dei proprietari era la figlia e poteva godere di quel profumo e di quel pane in ogni momento.
Volete sapere qual è stata la sola paura che ho avuto durante la intera fase di cottura delle friselle home made? Quella che il buco si chiudesse. Infatti non avevo pensato ad allargarlo bene sia in fase di formatura delle prime ciambelle, sia dopo la loro lievitazione in teglia post formatura. Prima di infornarle quindi, aiutandomi col manico di una cucchiarella, ho allargato i buchi, e ho pregato per tutta la cottura affinché non si chiudessero. Si è chiuso solo ad una, ma a pensarci bene, come dice la stessa MariaRosaria, col buco il sughetto poi cade e ti si sfracella addosso (perché la frisella si mangia con le mani portandosela alla bocca, non verrete mica a dirmi che la mangiate con forchetta e coltello, giusto?).
A scanso di equivoci, queste friselle non sono affatto quelle della tradizione pugliese, né costituiscono alcuna ricetta tradizionale di alcuna regione. Sono frutto di sperimentazioni e mix di farine ad opera di Maria Rosaria Cuomo, a seconda dei propri gusti che, in questo caso, hanno incontrato anche i miei (e pure quelli di Monica De Martini, che le ha preparate subito dopo averle viste da me rifatte nelle mie stories di Instagram).
Mi rimane un solo dubbio: si chiamano friselle o freselle?
Adesso a prescindere da come le si chiami, una cosa importante da fare è quella di sponzarle (o come diceva mia nonna, spugnarle) in un po’ di acqua tiepida, prima di mangiarle condite. Come si fa? Esistono dei contenutori fatti apposta, in ceramica, che hanno una vasca con l’acqua e accanto una specie di rastrelliera dove si mettono a scolare le frise. Mia nonna le passava semplicemente al volo sotto il rubinetto aperto con l’acqua tiepida a filo. Io però non lo faccio, non ho la bacinella (che però nelle foto ci sarebbe stata da dio) per via dei miei oramai famigerati problemi con le consistenze mosce, e quindi non le “spugno” con l’acqua, invece preparo una insalata di pomodori molto liquida, e le bagno con quella. Vengono squisite e “mordibili” lo stesso, al punto giusto.
Sul blog di Monica De Martini ho scoperto alcune curiosità riguardo alla frisella, che vi copio pari pari.
- Le sue origini risalirebbero al X secolo a.C., quando i navigatori Fenici le consumavano come “pane da viaggio” ammorbidendole con acqua di mare e insaporendole con solo olio d’oliva.
- Prima del dopoguerra, le friselle di farina di grano erano riservate alle sole tavole benestanti e a poche altre occasioni celebrative.
I ceti meno abbienti della popolazione consumavano le friselle di farina di orzo o di miscele di orzo e grano. - In Puglia è conosciuta anche come il Pane dei Crociati perché spesso erano parte del vettovagliamento durante il viaggio delle truppe cristiane verso le terre d’Arabia.
- La forma delle friselle non è casuale, infatti venivano infilate “a collana” con un cordino per poterle appendere per un facile e comodo trasporto e per la conservazione all’asciutto quando i pescatori erano lontano da casa.
- In passato in Puglia si usava bagnare le friselle direttamente in acqua di mare, e consumarle condite col solo pomodoro fresco, premuto per far uscire il succo.