Controllore: “Lei e’ un ignorante“.
Ragazzo: “Ignorante sarà sua sorella!“.
Controllore: “Ma no, non ha capito: ignorante nel senso che ignora…“.
Ragazzo: “Allora lei é un imbecille, nel senso che imbelle” Giovanni e Ayeye Brazov – Tre Uomini e una Gamba
Ci sono alcune cose che, si voglia o meno, non si sanno cucinare. Non è stupidità ma ignoranza, nel senso della non conoscenza.
I nostri supermercati, perlomeno quelli più forniti e in zone più civilizzate della città rispetto ad altre, ogni tanto propongono “robi” nuovi, che non sai mai se acquistare per curiosità, o non acquistare perché più simili a tutt’altro fuorché al cibo.
E’ il caso del Topinambur, che la prima volta, a prima vista scambiai per Zenzero (in fondo sono due radici entrambi) di una qualche varietà sconosciuta, poi arrivata a casa lo tagliai, capii che non lo era, e per pigrizia lo lasciai ammuffire in frigo, senza mai più sentire il bisogno di informarmi su cosa cazzarola fosse questo Topinambur.
Permettetemi una digressione.
C’è stato un momento preciso in quest’anno che sta finendo, in cui tutte le mie amiche di blog hanno preparato un pollo di Ottolenghi, quello con Finocchi, Clementine e Arak. Ero stata tentata anche io dal rifarlo, ma più per “moda” che per reale desiderio di mangiarlo, perché io detesto il finocchio, e perché sto Arak io non so proprio nemmeno dove iniziare a cercarlo. Però, nello stesso libro, c’era un altro pollo, che mi faceva più gola. Il Pollo arrosto con Limone e Carciofi di Gerusalemme (Jerusalem Artichokes).
La prima domanda che mi balenò in testa fu “Ma se uso le mammole sarà la stessa cosa? Lui probabilmente usa ‘sti carciofi di Gerusalemme perché essendo ebreo trova solo quelli. Io uso i cimaroli, sarà la stessa cosa”. Per carità, buono era buono, ma in quelle foto c’era qualcosa che al mio pollo mancava. E così ho semplicemente googlato Jerusalem Artichokes, per scoprire che altro non erano che questi benedetti Topinambur.
Niente a che fare con i carciofi, e niente a che fare nemmeno con Gerusalemme. Sono tuberi, originari del Nord America, ma ora diffusi ovunque. La pianta che fuoriesce dal terreno somiglia impressionantemente al girasole, fatto per cui si chiamano anche SunChokes. Jerusalem è invece la storpiatura per assonanza data in America dell’italiano “Girasole”, rassomigliando, come ho detto, la pianta al Girasole. Il nome di Carciofo, artichoke, non è dovuto invece ad altro, se non al sapore del tubero, sorprendentemente simile a quello del carciofo.
Così come i carciofi, questi deliziosi topinambur hanno le medesime conseguenze gassose, ragion per cui in America sono conosciuti come Jerusalem “F-artichokes” (da fart= scorreggia). Si può in parte ridurre il problema, ma non eliminare, cuocendoli lentamente e a lungo, quindi in preparazioni come questa zuppa, la Jerusalem Fartichoke Soup, ovvero la vellutata di topinambur. Se mangiati crudi, o trifolati, o fritti in chips, come le mie amiche mi hanno suggerito, il borbottìo intestinale aumenta.
Ora vi starete chiedendo quali conseguenze abbia avuto questa zuppa su di me… nessuna in particolare, io soffro di colite 365 giorni l’anno, sicché nulla ha aggiunto e nulla ha tolto a una normale relazione d’amore tra me e la mia sala del trono! Scherzi a parte, così come succede per broccoli e carciofi, prevedete di non avere appuntamenti galanti, o invitati a casa, o inviti ad uscire, per il giorno stesso in cui li mangiate e per il giorno successivo.
Però mi sono chiesta come ho potuto vivere 40 anni senza il topinambur. Mi piace da morire, questa vellutata è da diventare matti… e presto sperimenterò le versioni, TUTTE, che mi hanno dato le mie amiche cuciniere su Facebook… almeno dopo essermi sgonfiata dopo questa deliziosa vellutata!
Questa zuppa è assolutamente adatta a sgrassarsi e a “liberarsi” per preparare stomaco ed intestino ai bagordi natalizi e di fine anno.
Elena Broglia, del blog Zibaldone Culinario, ha preparato la stessa vellutata con aggiunta di speck croccante in superficie, partecipando al mio mese da vincitrice del The Recipe-tionist.