Siete mai stati ad un ristorante indiano? Un tempo ci andavo spessissimo, quando abitavo ad un tiro di schioppo da Trastevere, zona di Roma famosissima e in cui si trova il mio ristorante indiano preferito, Jaipur.
Da quando mi sono trasferita però le “puntate” dai miei amici indiani si sono diradate, anche perché, a parte Roberto ed il mio amico del cuore Alessandro, nessuno ha piacere di mangiare le loro pietanze speziate, che non a tutti piacciono.
Quando ci vado, a detta di chi mi osserva, ho gli occhi come quelli di Candy Candy, mi mancano solo le stelline. Perchè dopo aver di fatto girato tutti i ristoranti indiani o psedo-indiani di Roma, ho eletto Jaipur il mio preferito non per caso.
Malgrado la presenza importante di spezie affatto mild i sapori ben precisi che caratterizzano ogni piatto rimangono inalterati.
Jaipuri Murgh Tikka, spiedini meravigliosi di pollo marinato in yogurt e spezie, il White Murgh, pollo cotto a bassa temperatura nella panna, yogurt, zenzero fresco e ginger, ricetta che si può trovare SOLO lì in quanto invenzione del proprietario, Pradeep, il Pulao al limone, il Saag Aloo, la purea di spinaci con patate al curry… insomma, se solo ci ripenso sbavo come i cani di Pavlov.
A contorno di tutto questo ben di Dio, arriva lui, il Naan, il pane indiano, cotto contro le pareti di un forno profondo, di argilla, a forma di campana rovesciata, il Tandoor.
In origine, naan era un termine generico per indicare i tipi di pane azzimo di tutto il mondo. In turco, in uzbeco, in kazaco, il pane azzimo è conosciuto come nan, parola che deriva dal Farsi (lingua persiana), con cui si indicava generalmente il pane.
In Iran la parola nān ((FA) نان) non ha un significato ben specifico, e con nān si indica generalmente quasi ogni tipo di pane. Nel resto dell’Asia sud-orientale la parola naan è usata per indicare uno specifico tipo di pane azzimo molto sottile, simile alla pita. Come la pita, anche all’impasto del naan viene aggiunto il lievito, diventando di fatto non più azzimo.
I dischi di pane lievitato, nel cui impasto è contenuto lo yogurt al naturale, che gli conferisce quella consistenza simile ad una nuvola e una malleabilità tale da utilizzarlo come “cucchiaio” per raccogliere e portare direttamente in bocca il cibo, si cuociono facendoli letteralmente aderire alle pareti interne del Tandoor. Quando sono cotti, essi iniziano a staccarsi dalle pareti, una mano abile (e probabilmente con la pelle di amianto) li raccoglie e li impila uno sull’altro, non prima di averli però spennellati di ghee, il burro chiarificato.
Tranne che nei ristoranti indiani, in Italia è impossibile trovare un Tandoor, e perciò un metodo di cottura alternativo, per la cottura del Naan fatto in casa, è quello di utilizzare un testo da piada, in ghisa, pietra o ferro, incandescente. In India su una piastra simile si cuoce un altro tipo di pane, il Roti, ma fare il Naan in casa essendo sprovvisti del forno di argilla, impone l’utilizzo del testo anche per questa variante.