La Festa di Sant’Agata, che si celebra il 5 Febbraio, ma che di fatto dura 3 giorni, è la più importante festa religiosa della città di Catania.
Tre giorni di culto, di devozione, di folclore, di tradizioni che non hanno riscontro nel mondo. Soltanto la Settimana Santa di Siviglia in Spagna e la festa del Corpus Domini a Guzco in Perù possono paragonarsi, quanto a popolarità, ai festeggiamenti per Sant’Agata, da cinque secoli sempre uguali.
Per tre giorni la gente sciama nelle vie e nelle piazze.
I devoti indossano il “sacco” bianco, una sorta di saio, e girano per le strade della città per grazie e fioretti. Indossato il “sacco” una volta, esso va indossato per tutta la vita. Perfino i neonati vengono vestiti di bianco.
In questi giorni si contano fino a un milione e mezzo di persone che, tutte stipate come sardine, vagano nel centro della città di Catania.
Ai catanesi non bisogna mai toccare i masculini, Catania, Bellini … e Sant’Aituzza. Ne sono così innamorati che la sentono viva, come se quel viso di legno scolpito potesse rispondere alle loro implorazioni. accogliere le loro suppliche, come una grazia ricevuta. Conoscono ogni centimetro della pelle presente sul busto reliquario.
Sono tre giorni di solennità, ma due in particolare, quando Sant’Agata il 4 e il 5 febbraio nel suo fercolo d’argento viene portata tra la sua gente e attraversa tutti i quartieri.
Nella agiografia di Sant’Agata leggiamo di un avvenimento legato al rituale della preparazione di alcuni dolcetti di pasta di mandorle a forma di oliva, insieme alle più famose Minne.
Un giorno, il proconsole Quinziano fu informato che in città, tra le vergini consacrate, viveva una nobile e bella fanciulla patrizia, Agata per l’appunto.
Ordinò ai suoi uomini che la catturassero e la conducessero al palazzo pretorio. L’ordine del proconsole nasceva dal desiderio di soddisfare un capriccio ed un interesse personale: piegare a sé una giovane bella ed illibata e confiscarle i beni di famiglia.
Per sottrarsi all’ordine del proconsole, Agata per qualche tempo rimase nascosta lontano da Catania, probabilmente nascosta, secondo l’ipotesi più attendibile, in una grotta sull’isola di Malta.
Molte città infatti si contendono il merito di aver dato asilo alla giovane Agata. Tra queste la vicina Galermo, dove i genitori di Agata possedevano ville e terreni, poco distante da Catania, ma probabilmente si trattò di un errore di trascrizione degli atti del martirio e più che Galermo la santa si rifugiò a Palermo.
Nei secoli, il popolo ha arricchito di avventure leggendarie la fuga e l’arresto di Agata.
Una di queste narra che ella, inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a riposare un istante. Nello stesso momento in cui si fermò, si dice per allacciarsi un calzare, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta potè ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti.
Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell’evento prodigioso, è consuetudine coltivare un albero di ulivo in un’aiuola vicino ai luoghi del martirio, oltre che preparare questi dolcetti, le olivette, ops, Alivetti ri Sant’Ajita, ricoperte di zucchero o ricoperte per metà di cioccolato.
Mi sono innamorata lo scorso anno di questi dolcetti, scoperti sul blog di una bravissima collega blogger, Ketty Valenti, del blog Zagara e Cedro, e la sua versione, da cui ho tratto procedimento ed ingredienti in toto, è visualizzabile cliccando qui.