La ricetta del pesce al sale è uno dei metodi di cottura più antichi che si conoscano e che segue lo stesso principio delle cotture sotto la cenere, sotto la terra, sotto la sabbia e, più recentemente, sotto vuoto.
La cottura al sale non richiede nulla, ma proprio nulla se non tanto ma proprio tanto sale. È salutare, dietetica e facilissima, e a dispetto del nome, consente di preparare piatti per nulla salati ed è tipica dei paesi del mediterraneo come Spagna, Italia e Grecia.
Il segreto nascosto in questa tecnica di cottura antichissima dei pesci dalle carni grasse è davvero banale, si riveste infatti completamente di sale il pesce crudo, in modo che durante la cottura si formi una crosta dura, capace di isolare la pietanza e di conservarne gli umori e l’umidità. Non occorrono olio né altri grassi, e nemmeno vino, acqua o altri liquidi, mentre si può spaziare con la fantasia e la “gola” con le erbe aromatiche o le spezie.
Il sale è un bene di prima necessità da moltissimi anni e viene estratto in forma solida dai depositi di salgemma o ricavato attraverso la cristallizzazione di acqua salata.
Attraverso la conosciuta Via Salaria, la via che prende il suo nome, il sale giungeva da Roma in zone più interne della penisola. Nei tempi antichi addirittura era tanto importante da fungere da moneta di scambio. Il sale con il calore si solidifica e assorbe il grasso dagli alimenti.
Se poi si utilizza un sale integrale, molto umido, sarà anche il sale stesso una fonte benefica di minerali, di oligoelementi naturali (come il ferro e magnesio) e di aromi particolari che si infondono attraverso il vapore nel cibo in esso racchiuso.
Il sale però non viene assorbito dal cibo in cottura. Anzi, talvolta quando lo si serve, tocca mettere del sale in tavola!
“La crosta di sale crea una specie di “camicia” attorno all’alimento”, spiega il chimico e appassionato di gastronomia Dario Bressanini. “In questo modo la trasmissione del calore dal forno è più lenta e impedisce al cibo di seccare velocemente. Ecco perché si usa spesso per i pesci, visto che sono più delicati e a rischio di diventare stoppacciosi. Allo stesso tempo la crosta rallenta la fuoriuscita dell’umidità e degli aromi dall’alimento: potremmo chiamarla una cottura nel sacchetto ante litteram”.
Per quanto riguarda la scelta del tipo di pesce da cucinare al sale, in generale l’orata e il branzino sono considerati i più indicati, meglio se di grandi dimensioni, sopra i 600 grammi, ancora meglio 1 chilo. Per la preparazione non occorre nessuna avvertenza particolare tranne quella di eviscerare o farsi eviscerare il pesce in pescheria senza eliminare le squame! La cottura sarà migliore e più facile l’operazione di pulitura finale. Oltre all’orata e al branzino altri pesci che bene si adattano ad una cottura sotto sale sono il cefalo, il pagello, il dentice, la ricciola e la pezzogna, scelti di media pezzatura, che superino il kg (tra 1,2 e 1,5 kg è la misura ideale).
L’orata, che ho scelto di preparare, è un pesce costiero di mare e di acque salmastre e deve il suo nome alla tipica striscia di color oro posta tra gli occhi. È presente sia nel Mar Mediterraneo, sia nella parte orientale dell’Atlantico e vive entro i 150 metri dalla costa. Le sue pregiate carni sono bianche, altamente proteiche e notevolmente magre (specialmente quelle pescate e non di allevamento).
Esistono diversi metodi per compattare il sale e agevolare il rivestimento del pesce. Si va da quello più semplice, alle varianti che prevedono di mescolare il sale con albume d’uovo montato, di utilizzare vino bianco per bagnare leggermente il sale, o anche di mescolare tra loro sale fino e sale grosso con miscele di erbe aromatiche e zucchero. L’importante è ricordare che dovrebbe sempre esserci una «buccia» a tenere separata la parte commestibile dal sale, e proprio per questo il sale grosso è preferibile a quello fino.
Una condizione indispensabile è che la materia prima sia freschissima, di qualità assoluta. Nel caso specifico del pesce al sale, quando si rompe la crosta si sprigiona un vapore, un fumo in cui è concentrato il suo odore originario. Che sarà sgradevole nel caso di un pesce di qualità scadente, ma sarà puro mare se si sarà fatta la spesa giusta.
Sono passati due millenni da quando nel 230, Apicio scriveva del pesce al sale nel De Re Coquinaria:
“Pulite accuratamente il pesce togliendogli le interiora e tutte le squame. Poi mettete nel mortaio sale e seme di coriandolo; tritate il tutto e schiacciatelo bene. Copritene bene il pesce e mettetelo nella teglia con un coperchio, che sarà sigillato con il gesso. Poi si mette al forno e si fa cuocere”.
La tecnica standard è dunque quella di mettere nella teglia uno strato di sale grosso, adagiarvi il pesce – ben pulito ma con tutta la pelle e meglio ancora anche con le squame, guarnito con gli aromi preferiti, ricoprirlo poi interamente di altro sale e infornare a 180/200°C per il tempo necessario.
E quanto è il tempo giusto? Mezz’ora per ogni chilo di pesce. E poi servirà un martelletto per spezzare la crosta.
Questo tipo di cottura è diventato “di moda” in anni recenti, soprattutto grazie alla ricerca, sempre più diffusa, di metodi di cottura leggeri, poveri di grassi, o addirittura dietetici. E quella al sale è veramente una cottura dietetica. Il pesce infatti cuoce completamente senza grassi, e quelli eventualmente in esso contenuti, emessi durante la cottura, vengono assorbiti dalla crosta di sale da cui il pesce si trova rivestito.