“Cogliona!”
E’ così che mi chiamò l’ortolana di via Flaminia a Sacrofano, dove appena trasferita nella valle degli orti, andai a fare rifornimento di fave fresche. Dovete sapere che dall’alto Lazio in su, “coglione” non è una offesa, è una alternativa colorita e ruspante per dire “scemo”, in senso affettuoso e compassionevole. E cogliona mi prese e cogliona mi lasciò la colorita e folkloristica ortolana che c’abbiamo solo noi. Da metà Aprile, inizia da fuori le gallerie di Prima Porta, a mettere lungo la strada cartelli fatti con cartone rimediato, dipinto e verniciato, con indicazioni di distanza (“tra 200 mt girare a sinistra”, “metti la freccia a sinistra tra 50 metri”, “FAVA”, “siete arrivati, fave presenti” o, a fave finite, “FAVA FINITA”). Arrivati al suo podere, si attraversa il cancello spalancato e lei non c’è mai. C’è però un campanaccio da mucche arrugginito con un altro cartello “Per chiamare l’ortolana, suonare la campana”.
Ora vi chiederete come mai mi diede della cogliona e ve lo dico subito. Io sono golosissima di fave fresche e appena è periodo ne faccio incetta. Quest’anno sono addirittura andata in una campagna insieme a Cristiana a raccoglierle personalmente. Ora penserete che chissà quante ricette io faccio con le fave, e invece no. Questa pasta è la sola che preparo, perché mi ricorda mia nonna e perché quando mia nonna la preparava io e mia sorella eravamo le sole a gradirla.
Per fare però le fave con la pasta bisogna aspettare dopo il 25 aprile e possibilmente anche dopo il 1 di Maggio. Prima di queste date, infatti, le fave si mangiano crude, sbucciate e accompagnate da spicchi di uova sode e pecorino fresco. E sono fave piccoline. Dopo le fave iniziano a crescere, perdono valore, ma sono più farinose per prepararci la pasta e più in generale, per cuocerle.
Andai dall’ortolana al primo cartello avvistato sulla Flaminia che indicava la presenza delle fave sui suoi bancarielli, e ne presi circa 3 chili. Lei mi disse “ma non ti farà male la pancia poi dopo?” e io risposi che le avrei fatte con la pasta. Le avrei cotte. Apriti cielo. L’ortolana con le mani nei fianchi alla maniera di Mussolini ai tempi d’oro, con gli occhi infuocati come Crudelia Demon quando le fregarono i dalmata, distolse lo sguardo dalle verdure che nel frattempo “capava” (puliva, per i non romani)… e fu proprio in quel momento che mi chiamò cogliona, non perché la pasta con le favette piccole non si possa fare, tutt’altro, ma perché prima del 1 maggio le stavo pagando il doppio (4 Euro anziché 2). Ero così mortificata che, pur pagandole, gliele avrei lasciate, tale era il peccato mortale di cui lei aveva investito quel mio acquisto.
Da quell’anno, guai a comprare le fave piccole prima del 1 di Maggio. Queste con cui ho fatto la pasta di mia nonna, le ho prese il 2 maggio, a Tarquinia, insieme a Cristiana. Eravamo andate alla Fiera dei Trattori alla ricerca di tacchini cuccioli e papere di Tolosa, e siamo tornate con una paio di galline nere aggressive e due paperelle di Tolosa, con 6 chili di fave grosse e 20 cimaroli grandi quanto palloni da calcio. Tutto questo nella sola giornata di caldo cane che ha fatto in tutta la primavera 2019, e noi eravamo con una confortante tuta di felpa a fare i fumenti.
Ci ho preparato perciò la pasta, facendo in modo che venisse tanto bella quanto è buona, per poterla, finalmente, condividere con quei 4 lettori che mi sono rimasti e che pazienti aspettano la fine delle mie lunghe pause di inattività.
E’ una delle mie paste del cuore, e dopo vari tentativi, sono riuscita a bilanciare la presenza del cipollotto, fino ad ottenere esattamente lo stesso sapore della pasta e fave che preparava mia nonna. Ora voi potete prepararla col formato di pasta che più vi piace, ma io la preparo sempre e solo con gli spaghetti spezzati, come faceva mia nonna. Non esiste altro formato, per me, pur sapendo che alla fine il sapore lo dà la crema di fave. Se non ho anche gli spaghetti, nel momento in cui compro le fave, esco e li compro appositamente.
Unica licenza che mi sono concessa da qualche anno a questa parte, è l’aggiunta di qualche foglia di mentuccia romana, a fine cottura di fave e cipollotti, poco prima di frullare tutto col minipimer (mia nonna, come suggerisce la giovane memoria di mia sorella, le schiacciava con la forchetta lungo le pareti della pentola, e la purea non era liscia ma granulosa). A volte lascio qualche favetta intera, tenendola da parte e aggiungendola alla fine, ma la pasta e fave di mia nonna, quella che vi volevo “presentare”, pezzi grossi non ne aveva.
Ho spiegato come farla a Cristiana, perché conoscendomi, e conoscendo il momento storico di stanchezza che sto vivendo, e di voglia di chiudere il blog, ha detto che faceva prima a chiedermela che ad aspettare che pubblicassi la ricetta. Abbiamo fatto la spesa insieme per prepararla, poi io sono tornata a casa mia e lei a casa sua e la abbiamo fatta insieme. Dopodiché mi arriva su Whatsapp la foto della sua con questa didascalia: “Mi spieghi perché a te è venuta verde brillante e a me color vomito“?
Potrebbe succedere che vi venga verde veleno, effettivamente, ma se non stracuocete le fave, e se come cipollotto intendete, come faccio io, non solo la parte bianca ma anche tutto il gambo verde che riuscite ad utilizzare, siate certi che il colore vi verrà identico al mio. Anzi, facciamo che me lo fate proprio sapere inviandomi la foto della vostra pasta e fave?
1 Comments
Luisa
16 Maggio 2019 at 22:28
Dammi qualche giorno, e ci provo!