E qui ci addentriamo in un territorio sacro: Napoli, la Pasqua e la Pastiera. E io sudo.
Partiamo da lontano. A casa mia si è sempre svolta una inconsapevole battaglia intestina delle zie che preparano la pastiera. Zia Nora, che da un mese prima di Pasqua (e anche a Natale) ne prepara almeno una ventina, zia Rosa che ne fa decisamente di meno ma che si difende benissimo (qui lo dico e qui lo nego, a me piace di più la sua, di pastiera), poi c’era mia nonna, che ne faceva una più buona di tutte le altre, riempiendo casa per settimane di quel misto di acqua di fiori d’arancio e frolla. E quindi, ogni anno, grazie a mio padre che in queste lotte ci sguazza facendole puntualmente intossicare ad ogni festa comandata, da 42 anni, mi tocca mangiare diverse pastiere, che poi sono sempre uguali.
Zia Nora utilizza la ricetta del Talismano della Felicità, utilizza i canditi di zucca insieme a quelli di arancia e di cedro, e mette al bando il mix macedonia candita di Pane Angeli o altre marche perché sostiene che il candito di ciliegia macchi irrimediabilmente il bianco ripieno di grano e ricotta. Zia Rosa utilizza credo ogni volta una ricetta diversa ma alla fine le vengono sempre uguali e fino ad oggi per me la sua aveva la frolla migliore, non bagnata, che anche dopo i canonici 3 giorni di attesa per assaggiarla non diventava una pappetta unica col ripieno. E mia nonna, ahimè, grazie a quell’agenda di ricette buttata o smarrita, non sapremo mai quale ricetta utilizzasse.
Per anni, vi dicevo, io la pastiera la ho sempre mangiata regalata, quindi.
Fino allo scorso anno quando, impossibilitata a ricevere una pastiera di famiglia, ho deciso di farmela da sola. Pasqualina mi aveva parlato al telefono di una sua amica, Marcella Minù Orsi, dicendomi che aveva provato la sua frolla, la sua pastiera, e aveva decretato fosse validissima. Aveva anche già mandato la ricetta a Patrizia Malomo, se avessi voluto vedere le fotografie di quale fosse il risultato.
Ebbene il giorno successivo ho sfornato la mia prima pastiera come si deve, degna di questo nome.
Le foto che vedete, sono della pastiera del 2018, quest’anno per gravi problemi in casa non la farò. Ma avendola, lo scorso anno, preparata dopo Pasqua, ho conservato tutto, anche il tempo di scrivere il post, per pubblicarla per la Pasqua 2019. Non esisterebbe altra pastiera che farei, avessi il tempo di rifarla.
In giro per la rete ci sono milioni di pastiere, soprattutto nel mese in cui cade la Pasqua, quindi la mia finirà, per rubare il termine alla stessa Patrizia, nel mare magnum delle pastiere del mese di aprile. Ma confido ancora in qualche lettore che vorrà dare fiducia alla mia, quindi a Patrizie, a Marcella Minù Orsi e alle intuizioni di Pasqualina.
Avessi scritto questo post l’anno scorso, avrei fatto miei le parole di F. Andoli, che ha immesso nel web un elogio breve alla Pastiera. E ogni volta che lo leggo rido, soprattutto perché il pezzo su Scaturchio lo si può applicare a qualsiasi dolce napoletano 😀
La PASTIERA NAPOLETANA
Tra i nostri dolci tipici, é la sola che conserva ancora una dimensione puramente casalinga. Sia chiaro, non che le pasticcerie in città non sappiano farla a regola d’arte, ma la pastiera, quella vera, va fatta in casa. Punto e basta! E, badate bene, nessuna pastiera è mai uguale a un’altra.
Alta, bassa, grano passato a metà o per intero, umida o assai “zucosa”, più o meno profumata di acqua millefiori, con o senza crema pasticcera, pettola sottile oppure più spessa, ricotta fine o più granulosa, uova prese dal salumiere o direttamente da sotto alla gallina allevata dall’ultimo contadino rimasto ai Camaldoli.
La Pastiera – diciamolo una volta per tutte – non mette d’accordo nessuno: getta scompiglio, crea zizzania, genera competizione, innesca una sorta di guerra civile partenopea. Il motivo? Ogni famiglia é straconvinta di essere depositaria e custode della suprema formula, della ricetta per eccellenza. Una ricetta che, solitamente, si tramanda da generazione in generazione ed è stata annotata, in bella grafia, nel tardo medioevo, su di un quaderno senza copertina i cui fogli ingialliti si tengono ancora insieme con la sputazza. Oh, ma straconvinta che più straconvinta proprio non si può!
La ricetta di mammà, quella della nonna, chell ra bisnonna, chell ra vicina ‘e casa di quando abitavamo chissà dove, chell rà guardaport, quella della sorella della nipote dell’amica ‘e chi te stramuort!
Immancabile poi, è la ricetta dello zio che ha fatto il pasticciere da Scaturchio. Ogni napoletano che si rispetti, per qualche misterioso motivo, ha uno zio che faceva il pasticciere da Scaturchio e ha trafugato, dal suo leggendario laboratorio, la ricetta segretissima. Talmente segreta ca ‘a sann tutt quant, tranne i titolari della pasticceria Scaturchio.
E poi, di pastiera, in casa, non se ne prepara mai una sola. Si cucinano pastiere da regalare a chiunque. Tutti scambiano pastiere con tutti in modo compulsivo al punto che, in questo turbinio di pastiere ca vann annanz e aret, alcune tornano persino indietro sotto forma di dono a chi quella pastiera l’aveva preparata giorni prima ed è talmente “sicuro e padrone” della sua ricetta che la mangia senza accorgersi che si tratta proprio della sua, arrivando persino ad esclamare: “vabbuó, nun pazziamm, io ‘a faccio cientemila vote meglio!”.
Fatidico, infine, è il momento dell’apertura, il taglio della prima fetta a cui fa seguito l’assaggio. Lì, è la famiglia stessa che implode, la guerra civile si trasferisce tra le mura domestiche: “uaaaaa è venuta perfetta”, “no era meglio l’anno scorso”, “nun dicere strunzat, era meglio tre anni fa”, “è colpa ‘e chillu sfaccett ‘e furn”, “l’anno prossimo verrà nu capolavoro”.
Fino a quando non si leva alta una voce, la solita voce, che perentoria nella sua infinita saggezza esclama: ma che ve ne fott, magnate e statv zitt!
3 Comments
Pellegrina
12 Aprile 2019 at 15:15
Vabbe’ è una sfida. E non è nemmeno fritta….
Io l’ho fatta tanto tempo fa mi ricordo il grano durissimo. Qui il grano cotto non c’è. Lo cuocio io? A me sembrava che fosse grano germogliato e poi cotto: invece dev’essere solo cotto?
Il difficile sarà trovare una ricotta decente.
Valentina
12 Aprile 2019 at 15:26
Grano cotto qui lo trovo. Ma cmq tu fai cosí. 250 gr di grano tenero ammollato in 2 litri di acqua da 2 a 3 giorni (e qui apro una parentesi, a seconda delle tenerezza del grano a volte puó bastare anche 1 giorno e mezzo). Scoli scaicqui e butti via acqua. Lo cuoci in 2 litri di nuova acqua circa per 1 ora e mezza. Scoli e metti in frigo coperto una notte intera. Ecco qua 🙂
Arlete
3 Aprile 2021 at 10:44
E quest’anno ho fatto la frolla con lo strutto e il burro, 100 gr di ognuno, la palla è venuta perfetta. Adesso sta in frigo. La crema di grano sta freddando e la ricotta sta scolando in frigo. Io però i canditi non li metto, mi fanno accapponare la pelle (brucerò all’inferno, lo so).