La zuppa che propongo non ha una storia se non nella mia famiglia. E’ la zuppa che preparava mia nonna, l’odore che si spande per casa quando la preparo è l’odore di casa di mia nonna. La sua versione era certamente più “ruspante”, non vi era origano fresco a guarnire, magari la foglia di alloro era secca e non fresca come quella aggiunta da me avendone decine di piante in giardino, e le patate erano di dimensioni diverse l’una dall’altra… ma il sapore è rimasto immutato, così come i ricordi ad ogni cucchiaiata di zuppa.
Il termine “attappate” deriva dal dialetto partenopeo e significa “chiuso“, “tappato“, “con il coperchio“.
La cottura “attappata” può essere definita come la progenitrice della moderna crockpot dove è severamente vietato sollevare il coperchio, pena l’annullamento di ore ed ore a cottura lenta e l’annientamento del microclima ideale per questa cottura. Per le patate attappate mia nonna però sollevava il coperchio una volta sola. In quella occasione faceva l’unica mescolata gentile alle patate e aggiungeva un chiodo di garofano. Dopodiché il coperchio rimaneva chiuso.
Io ho utilizzato una pentola in ghisa smaltata, che mantiene bene il calore anche una volta spenta la fiamma sottostante, e ho scelto non a caso la forma a cuore perché, ruotando di pochissimo il coperchio si crea una fessura impercettibile di sfiato del vapore in eccesso che evita la fuoriuscita di succhi indesiderati.
Direttamente dal blog di Luisa Sorrentino, Ricettelle, la versione da lei preparata per partecipare al mio mese da vincitrice del The Recipe-tionist.
2 Comments
Pellegrina
22 Marzo 2018 at 23:32
Ma si potrebbe cuocere in forno con coperchio?
Valentina
23 Marzo 2018 at 6:16
In verità il coperchio non andrebbe messo a chiudere totalmente, va lasciato un pochino aperto e il vapore fuoriesce. In forno ho paura che creerebbe troppa condensa, restando intrappolata in un”cubo”