Ho mangiato la prima volta la piadina romagnola da piccola quando andai con i miei genitori e mia sorella a trovare i miei zii torinesi che avevano casa a Pinarella di Cervia.
Ho ricordi veramente sfumati di quella brevissima vacanza, tranne 3: io che indossavo ingenuamente dei giallissimi leggins (e ancora non erano di moda, e direi forse per fortuna visto l’abuso che se ne fa adesso), il sapore di questa buonissima piadina mangiata per strada mentre i miei visitavano il Tempio Malatestiano di Rimini, e le risate davanti al primo sexy shop visto in vita mia, sul corso principale della movida riminese.
Dopodichè in Romagna non ci sono più andata, ma ho mangiato surrogati di piadine un pò in tutta Italia. Eh sì, perchè tra le attività di spicco degli scorsi anni c’è stato anche il boom di imitazione delle piadine romagnole con piccoli esercizi che spuntavano come i funghi in giro per l’Italia, ma che oltre a dischi sfogliati spacciati per piadine non producevano nulla.
Un giorno un amico forlivese ma santarcangiolese di adozione (di Sant’Arcangelo), Andrea, mi passò la ricetta di famiglia della piadina di casa sua, che poi è la ricetta della piadina classica, perchè nulla si aggiunge agli ingredienti imprescindibili di questa preparazione. E tra essi lo strutto. La piadina senza strutto non si fa, con buona pace di vegani e vegetariani. Amen.
La piadina è forse il pane più antico del mondo, fatto con sola acqua e farina, che non deve lievitare, ma a cui si aggiunge una percentuale precisa di strutto, che le conferisce quel sapore così inimitabile e particolare, e un pizzichino di bicarbonato di sodio. Ma si compie un peccato mortale a voler definire la piadina imprigionandola in un’unica ricetta. A chi viene da fuori pare di mangiare lo stesso prodotto, sia che ci si trovi nella zona di Imola, che in quelle del Riminese (includendo anche Riccione) o nella zona di Forlì-Cesena. E invece in questo “triangolo” geografico ci si trova come tra le contrade di Siena, con una rivalità dello stesso calibro.
Nella zona nord della Romagna invece si prepara una piadina spessa, alta fino ad 1 cm e con un diametro di 15 cm, nella zona sud si prepara una piadina anche raddoppiata nel diametro ma sottilissima. E ad Imola ci si aggiunge l’uovo.
Le farciture della piadina sono molteplici, si passa dalla farcitura classica (che è quella che io preferisco e presente nelle mie fotografie a corredo della ricetta), con squaquerone, tipico vellutato e scioglievole formaggio simil stracchino, ma molto più voluttuoso, prosciutto crudo tagliato finissimo e rucola, alla farcitura con prosciutto crudo, pomodori ramati e mozzzarella, o a quella che prevede le erbette ripassate in padella e la salsiccia alla griglia. E poi si arriva alle farciture “profane” che prevedono di tutto, dal coniglio agli aromi al pollo fritto e salsine simil tzatziki.
La piadina viene regolamentata da un disciplinare avendo ottenuto il riconoscimento del marchio di prodotto IGP.
Le mani in prestito sono di mio fratello.