Quello in cui da Prati mi trasferii in villa, fu un annus horribilis. Innanzitutto mentre facevo i lavori a casa mia nonna mancò, avevo cambiato lavoro, col trasloco di mezzo che a detta di Alessandro è una delle prime cause di esaurimento nervoso o depressione, ci fu una grande nevicata a Roma che ci lasciò prigionieri della casa per 7 giorni, insomma mi affidai alle intuizioni di uno psichiatra.
Mi prescrisse delle gocce di benzodiazepine, per tenermi tranquilla perlomeno, ma somministrate in una dose talmente bassa che il loro poteva anche definirsi un mero effetto placebo.
Un pomeriggio ero in terrazza sulla sedia a dondolo, e aspettavo che gli imbianchini finissero il lavoro per quella giornata per potermi rilassare. Ero al telefono con la mia amica Valeria e le descrivevo gli effetti che queste gocce avevano su di me. Mi definivo apatica, insonnolita, sempre stanca e la sola voglia che avevo era quella di dormire e le dissi – “Secondo me, tra l’altro, ho anche le allucinazioni infatti domani mattina chiamo il dottore e vedo come poterle interrompere. Per esempio ora vedo sull’albero di fronte a me un enorme pappagallo brasiliano”.
Sull’albero che ho in giardino, un noce di 17 metri, infatti vedevo un ara, variopinto pappagallo brasiliano nella variante di colore giallo, turchese e bianco, che mi fissava. Pensavo davvero fosse frutto della mia immaginazione fino a quando sentii una voce flebile che arrivava dal cancello che diceva – “Signoraaaaaa, mi è scappato il pappagallo, sta sul suo albero”.
Scattai dalla sedia pietrificata. Io che ho paura delle galline, avevo a pochi metri un pappagallo dall’apertura alare di un deltaplano. Vivo. Urlai “Le apro ma faccia presto, ho paura” e lui che aveva percepito il mio terrore disse – “E’ buonissima, dopotutto si chiama Luna” … (ma dopotutto cosa?????). La mia risposta fu – “Si può chiamare anche Nicola, venga a prenderlo immediatamente”. Luna, alle mie urla, spiccò il volo e invece di volare lontano venne sulla ringhiera. Mentre un giovane Ully rischiava l’infarto precoce per quanto abbaiava contro sto mamozzio alato, il mio vicino senza scomporsi la prese in braccio piuttosto che improvvisarsi Tarzan e scalare il noce. Quel giorno capii che le urla che ogni tanto sentivo arrivare da qualche parte non ben definita, forti e “atroci”, non erano di alcun nipote pazzo di signorine Finizio locali, ma era semplicemente Luna che cantava.
Quel giorno avevo preparato per cena le polpette di tonno e melanzane, ma non le toccai. Ero senza forze e sotto shock. Le ho rifatte anni dopo col tonno Rizzoli e sono venute, a detta di chi le ha mangiate, decisamente più buone.
Prima di capire che la mia difficoltà nel mangiarlo “cotto” dipendeva dalla qualità del tonno, e non dal tonno in sé, sarebbe per me stato impensabile preparare queste polpette. Anche la stessa pasta col tonno, piatto simbolo di tutti gli studenti o di chi si avvicina ai fornelli per la prima volta, una volta lasciato il materno focolare, io non l’ho mai mangiata col tonno passato in padella, aromatizzato con un poco di aglio, meno che mai col pomodoro (ecco questa ancora non riesco a mangiarla). Lessavo gli spaghetti, li condivo con olio extravergine di famiglia, e ci aprivo dentro la scatoletta di tonno. Stop. Masterchef.
Ma da quando Rizzoli mi ha fatta Taste Ambassador, mi sono lanciata a prepararlo anche cotto, in modi diversi e leggermente più laboriosi, rispetto al mero atto di aprire una scatoletta.
Qui ho utilizzato la versione in vetro e al naturale (sì, ero già nella fase dieta ferrea, anche se ancora glutinosa).
2 Comments
marina
14 Settembre 2020 at 15:55
Te l’ho già detto che leggo con piacere i tuoi racconti e anche le tue ricette. Buonissime queste polpette, insolite per l’aggiunta del tonno, dunque ancora più allettanti!
un abbraccio
Valentina
17 Settembre 2020 at 9:02
Grazie di vero cuore marina, tu si che sei sempre stata cara e presente con me.