Le rose del deserto sono uno di quei biscotti che appartengono per me a due categorie macroscopiche: i biscotti ancient regime, quelli démodé, quelli che si facevano anni fa quando panare qualcosa con i corn flakes ancora era considerata una innovazione, e i biscotti “che saprebbe fare anche mio fratello”, usando mio fratello e la sua abilità in cucina come grado per la valutazione della difficoltà di una preparazione.
Sta di fatto che ogni tanto un tuffo nella memoria fa sempre bene, memoria non solo mentale ma anche gustativa, un po’ come coloro i quali ascoltano sempre e solo musica anni 80… e poi per fare le rose del deserto non hai bisogno di sbatterti, riescono sempre.
Li preparai la prima volta anni (e anni) fa quando mia sorella si trasferì a Milano, e al primo rientro a casa volle farci vedere i suoi progressi in cucina, preparandoci questi biscotti che davvero all’epoca erano qualcosa di nuovo, di innovativo.
Probabilmente all’epoca erano innovativi anche i Corn Flakes della Kellogg’s, oggi soppiantati da millemila tipi di altri cereali da colazione, senza dubbio più appetitosi, arricchiti da cioccolato fondente, agglomerati di nocciole e miele, frutti rossi e frutti blu… e oggi forse troviamo i Corn Flakes di Kellogg’s ancora sugli scaffali dei supermercati al solo fine di permetterci di preparare le rose del deserto.
Mi ero sempre chiesta come mai a questi biscotti fosse stato dato questo nome, poi durante una crociera sul Nilo mi accorsi che la maggior parte dei venditori ambulanti esponeva sui propri banchetti per turisti queste rose fatte di sola sabbia sahariana, dal colore caratteristico che poi appartiene anche a questi biscotti, sabbia consolidata con l’acqua e modellata naturalmente dai venti desertici.
Ça va sans dire che le rose vendute su quei banchetti erano tutt’altro che formazioni sabbiose naturali, erano assolutamente state modellate dalle sapienti mani di qualche egiziano, fosse solo perché le trovavi di ogni colore… in qualche cassetto ne conservo ancora un paio, una color sabbia glitterata e una rosso Ferrari, presente come “capopezzo” della collezione nelle foto dell’articolo.