Ogni Natale, così come ogni Pasqua, le mie due zie pasticcere di famiglia sfornano vassoiate di dolci tipici che poi vengono messi a confronto e sottoposti a giudizio dall’autorità massima in campo di mancanza di diplomazia: mio padre!
Quando mia nonna era ancora con noi, era la sola che provava a fargli i Rococò, e anche se il dentista di famiglia si sfregava le mani ogni Dicembre, tra carie e denti scheggiati, mio padre sosteneva, stoico, che erano mosci.
E lei ci riprovava ogni anno, anche oltre il periodo comandato delle feste.
Inutilmente.
Alla dipartita di nonna, i Rococò sono stati tranquillamente depennati dai vassoi di dolci delle nostre tavolate (anche perché oltre a mio padre non piacciono a nessuno) per far spazio a mostaccioli, raffioli e “zizze ‘e monaca” che zio Rino acquista in pasticceria così che le lamentele e critiche di mio padre siano rivolte direttamente all’esercizio!
Ora, le due zie che si sfidano sono una la sorella di mio padre e una la sorella di mia mamma.
E difficilmente dalla bocca di mio padre esce fuori che quelli della sorella di mamma siano migliori di quelli di sua sorella. La cognata per lui perde in partenza, per principio.
Abbandonati gli “amari” in bocca delle Pastiere pasquali, a Natale si ripete la solfa con gli struffoli, piccolissimi gioielli fritti e affogati letteralmente nel miele e zucchero caramellato e ricoperti di diavulilli (così si chiama l’insieme dei confettini “spaccadenti” colorati, tondi, minuscoli, che se ti si capovolge la bustina ricordi tutti i Santi dal 1 Gennaio a San Silvestro, talvolta ripieni di Anice).
E così ricordo con piacere le tombolate interminabili a casa di zia Nora durante le quali, nel centro del tavolo imperiale, c’erano diverse “isole del ghiottone”, e al centro troneggiavano SEMPRE due vassoiate di struffoli.
Zia Rosa invece, più parsimoniosamente, ne faceva vassoietti anonimi (in modo che mio padre non riconoscesse la maternità del vassoio o del piatto) che di soppiatto portava a casa nostra, facendo giurare a mia madre di non svelare l’origine del vassoio nel momento in cui mio padre avesse allungato la mano (eh si perché cucchiaino d’argento cesellato a parte, che potremo usare durante la visita di Carlo e Camilla, gli struffoli si mangiano con le mani, leccandosi le dita come con i Fonzies), e di dettagliarla circa la reazione.
Ad onor del vero mio padre, quando può, li mangia indistintamente tutti, così come di fatto mangiava i Rococò di mia nonna, ma la soddisfazione non la dà mai, c’è sempre un “anche se” che tiene vivo il pepe fino alle feste comandate dell’anno successivo.
Chi beneficia di queste sfide a colpi di vassoio, anicini, miele e frittura siamo noi del parentado stretto a cui poco importa decretare quali siano i migliori, basta che (anche qui) non siano mosci.
La preparazione è semplicissima, va impastato tutto insieme e fatto riposare l’impasto in frigo per 30 minuti, prima di tagliare e friggere queste piccole dolci “pepite”.
La versione dei miei struffoli è l’ultima fatta da entrambe le zie ed è tratta da un libro che oggi non stampano più, Napoli in Bocca di Antonella Santolini, e nella mia versione ho utilizzato il lievito e non il bicarbonato e non ho inserito i canditi che a me non piacciono.
2 Comments
Elisa Baker
10 Dicembre 2017 at 7:42
No… ti sei rovinata con le tue stesse mani… lascia stare un attimo i 4 kg di nocciole da sgusciare senza schiaccianoci… ti inondo messenger aspė aspè aspè… soffrirai anche tu del mio jet lag ahahahahaha
Valentina
10 Dicembre 2017 at 8:35
Ahahahahahhaahahahahah #salvatemi