Lo scorso 20 luglio ho compiuto 43 anni. Mio dio, se penso a quando mia madre compì 40 anni, e festeggiò a casa, con tanto di catering e “bomboniere”, pensavo che fosse così vecchia. Ora la vecchia sono io, e no, vi prego, non pensate che stia qui ad aspettarmi che mi diciate – “ma va ma quale vecchia“. Mi ci sento. Vecchia di mente, di mentalità, stanca, insofferente. Più saggia? Non lo so. Ma di sicuro sono diventata più strafottente, ancora più dura di quanto non sia già (e vi illudete a pensare che io sia dolce solo perché sono gentile e generosa) e più stronza. Più intransigente. Più intollerante.
Proprio il giorno del mio compleanno ho fatto un dominae repulisti nella mia vita di mediocrità sotto tutti i punti di vista.
Sono uscita dal lockdown devastata da un lato ma più determinata dall’altro. Determinata a volermi più bene. A non accettare compromessi, di ogni genere e sorta.
Ad ogni modo, al mio compleanno quest’anno ho ricevuto una marea di regali, anche di sostanza. Mia sorella e mio fratello mi hanno regalato il Manfrotto professionale con l’asta per le foto zenitali e la testina per l’attacco della reflex (costa 200€ solo quella), poi ho ricevuto un praticissimo forno monoporzione che non volevo e davanti al quale ho riso di gusto, ma che poi di fatto sto usando spesso, cenando da sola, e la macchina da cucire.
Mi sono sentita anziana anche per questo ultimo regalo, da me per giunta fortemente voluto, perché sempre durante il lockdown, l’affannata ricerca delle mascherine, mi ha portata a guardare decine e decine di video di sarte più o meno blasonate, che utilizzavano finanche la stoffa delle camicie per farle in casa. E tutte avevano la macchina da cucire. Mascherine non se ne trovavano, non sono io a dovervelo dire, e così disinfettavo con lo spray apposta quelle chirurgiche che ti danno in Rai ai tornelli, e altre che, messe a disposizione sulle regie mobili, a fine giornata non aveva preso nessuno dal pacco.
E così, vecchiaia per vecchiaia, mi sono preparata un dolcetto niente affatto moderno, come tutte queste chiffon cakes, drop cakes, nude looks, torte a forma di numero con decorazioni di macarons che manco mi ricordo come diamine si chiamano e che, diciamocelo, ci hanno un filo sfracagnato le balle… desideravo qualcosa che mi riscaldasse e che fosse allo stesso tempo un po’ ancient regime. E che fosse facile da preparare anche per me, visto che la sola pasticceria che fa dolci che mi piacciano, decide sempre di andare in ferie nelle due settimane a cavallo del mio compleanno.
Ho trovato questi tortini di mele e robiola sul blog di Laura Gioia, Essenza di Vaniglia, fonte di innumerevoli ricette facili, eppure molto ricercate. I miei tortini hanno lievitato di più rispetto ai suoi, sono diventati delle piccole montagnette pizzute in cocotte. La colpa è di questo forno maledetto acquistato insieme alla “sciccheria”… e che presto cambierò, ma sono persa nel mare magnum dei forni da almeno 2 anni senza saperne sceglier e finalmente uno. E comunque l’abbinamento mele e robiola ho giurato di riproporlo, perché è davvero buonissimo.
Laura consiglia di mangiarle tiepide o fredde, arricchite da un cucchiaio generoso di sciroppo d’acero (tendono ad essere un po’ asciutte se cotte male), ma io ho letto questo particolare solo dopo, mooooolto dopo, e le ho mangiate tal quali. Ma ripensandoci ora, che a distanza di 3 mesi scrivo finalmente ricetta e post, lo sciroppo d’acero colato sopra ci sarebbe stato di sicuro benissimo. Perché forse intorzano un po’.
2 Comments
Laura
21 Ottobre 2020 at 9:51
Grazie mille! Sono davvero tanto contenta ti siano piaciute ❤️
Valentina
21 Ottobre 2020 at 9:52
Le tue sono ricette infallibili e sempre meravigliose, grazie a te, sempre.