Pasqua e Pasquetta sono (quasi) andate, in altri momenti avrei scherzosamente detto, come quel vecchio, noto film di Natale “e pure quest’anno ce le siamo levate dalle palle“… ma mai come quest’anno avrei fatto bene, perché io non so voi, ma queste feste non le ho sentite. E non vedevo l’ora passassero.
Sulla newsletter di Aprile di Lidia c’era scritto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi sei” (o con chi t’è capitato, direi io) e mai detto è stato più vero. Sono incazzata nera con chi, a disprezzo delle leggi, ha lo stesso preso la macchina per andare a trascorrere il primo weekend pasquale dopo il medioevo in cui non piove, a beffa del tutto, e sono anche incazzata che le sanzioni sono state lievi. Della fila di 10 km creatasi sulla Pontina verso il litorale laziale a sud di TorVajanica, credo che il 90% li hanno solo fatti rigirare e rispediti a casa. I dirimpettai di Roberto, verso le 12e30, si sono serenamente vestiti, messi in macchina con tanto di bottiglia di vino d’annata alla mano e 2 uova di Pasqua, entrati in macchina e partiti verso chissà quale casa, dove trascorrere la Pasqua. E noi facciamo i sacrifici, non vedendo la famiglia, i propri cari, gli amoretti, gli amici, i colleghi, da quasi 2 mesi… e secondo me per altrettanti ancora ci toccherà aspettare.
Ero tra coloro che, in barba alle allerte varie e alle notizie di eserciti coi ticket a distribuire boccette d’acqua, aveva preso forse sottogamba il problema dei supermercati, poi la settimana scorsa, quando il sindaco ha deciso che si va a fare la spesa in base alla lettera del cognome, in soli due giorni specifici della settimana, mi è salita una scimmia che non avete idea. Quelli escono, vanno alle seconde case, e io posso uscire solo il lunedi e il giovedì, quando la pescheria, CHIARAMENTE, sta chiusa.
Per fortuna questo “decretino” viene attuato da oggi, la settimana scorsa ho usufruito del fatto che Fabrizio avesse riaperto la pescheria, e ho comprato finalmente dopo 1 mese e mezzo, mazzancolle, totani, vongole e cozze. E’ con queste ultime che ho preparato un piatto per celebrare la mia felicità per il fatto che il Pastificio Di Martino di Gragnano avesse aperto eccezionalmente l’e-shop con tutti e 80 i formati di pasta.
Desideravo le Trottole da tempo, da anni prima a dire la verità, dal 2016, quando le avevo viste, sotto un altro nome e commercializzate da un altro pastificio sempre di Gragnano, ma che non erano MAI disponibili. Approfittando perciò della possibilità offerta da Di Martino, ho iniziato a inserire nel carrello tutti quei formati che vedevo e desideravo ma che, vi parrà incredibile, a Roma comunque non trovo. Stivalettini, Orzo, Alfabeto, Rosmarino… e poi eccole, loro, le Trottole. E’ stata Teresa de Masi che mi ha suggerito quale sarebbe stata “la morte sua”… Cozze e Patate, e io così ho fatto.
Ricordavo una ricetta vecchissima di Lucia, in cui lei prepara una crema di patate accompagnandola alle vongole, sempre per condirci la pasta, una sorta di purè molto lento, col prezzemolo, e gliela ho copiata, cuocendo però le patate a dadi, in una padella dove prima le avevo saltate con olio, aglio e rosmarino freschissimo, e poi quasi risottandole con l’acqua ottenuta aprendo in pentola le cozze, aggiunta poco alla volta, e poi frullandole col nuovissimo Triblade di Kenwood che mi ha regalato mio fratello.
Il risultato è stata una crema lucida, profumata, delicatissima, con cui mi sono semplicemente limitata a condire quella pasta bellissima da vedere, soddisfacentissima da mangiare e rugosa come solo la pasta Di Martino sa essere.
Insomma, diciamo che questa quarantena, con la generosità di tantissimi fornitori che mettono a disposizione il proprio personale e i propri prodotti alla vendita online, non la sto vivendo malissimo, fatta eccezione per quella sensazione di cattività e di arresti domiciliari, che credo con difficoltà tutti noi ci scrolleremo di dosso molto presto. Purtroppo io sono celiaca, ho potuto mangiare, per mera gola, solo un paio di forchettate di questa delizia, consapevole che sarei stata male come poi è successo, ma mi è sembrata una vera beffa aver cercato per lungo e per largo questo formato, pensando che l’altro pastificio fosse il solo a produrlo, ed accorgermi, a celiachia conclamata, che potevo averlo finanche a domicilio, commercializzato dal mio marchio di pasta preferito. Mi è sembrata una punizione troppo grande, così me li sono concessi, accettando il dolore di stomaco come la croce da portare per aver peccato.
E’ per questo che, fatto 30 ho fatto anche 31, ed ho finalmente fatto i paccheri ripieni e fritti, che pubblicherò tra qualche giorno, e ho assaggiato anche 3 di quelli. Amen. Ma da oggi sono tornata a dieta, stretta, e ho ripreso gli allenamenti di Cristian, da casa (tanto elastici, fitball e tappetino li avevo già comprati in epoca non sospetta).
Per le cozze, come insegna la stessa Lucia, ci vuole proprio un atto di amore. Di solito Fabrizio le vende sia in rete, come stavolta, sia sfuse e già pulite (passate in una macchina che ripulisce, per il 90%, il guscio da tutta la monnezza che ci si accumula sopra). Stavolta non sono stata fortunata, e dopo lo streppone (e già solo per questo ci vuole uno stomaco forte), ho dovuto, tra coltello e nuova retina di ferro per le pentole che per fortuna avevo in casa, staccare muschi, alghe e denti di cane da ciascun mitile. E’ per questo motivo che nell’elenco ingredienti della ricetta che segue, vi consiglio olio di gomito, perché a meno che vicino casa non abbiate l’Esselunga, dove vi vendono le cozze lucide, pulite e sigillate, dovrete fare questa opera di forza e coraggio, che si fa solo per amore. Di chi mangia con voi, della persona per cui le avete preparate, delle cozze stesse o di un formato di pasta finalmente trovato, come nel caso mio.
1 Comments
Pellegrina
13 Aprile 2020 at 15:09
La crema di patate mi sembra invitantissima! E mi dispiace che davanti a un bel piatto simile tu abbia dovuto starci male. Io spero di rifarla, perché ho il frullatore rotto e non sempre trovo le cozze. Potrebbe andare qualcos’altro, in caso?
Ciò detto, lo ammetto, sono un po’ perplessa su tutta la questione uscite.
Io esco solo per spesa e medico, premetto, rigorosamente con mascherina e guanti. Ho la fortuna di lavorare da casa e benché la medesima sia piccola, senza terrazzo né giardino, e nemmeno sole diretto, ahimé, non smanio affatto per ritornare a uscire come prima, andando in luoghi di lavoro nel mio caso affollati e anche a emergenza dichiarata, di fatto non protetti. Penso anche a tutti coloro che prendono i mezzi pubblici in una grande città. Mi piacerebbe però poter trovare, quando sono obbligata a a uscire, delle mascherine buone da indossare, anziché dover riciclare la stessa da giorni, e dei guanti monouso, che ancora oggi sono rari, come il cloro. L’alcool non si trova ancora per nulla.
Le feste le sto passando facendo pulizie, ma la reclusione in sé, ammetto, non mi ha portato drammi, e benché non abbia né colomba né uovo, non mi è dispiaciuto avere un giorno di riposo in più, anzi l’ho trovato troppo breve, sentire ieri le campane a mezzogiorno, e in generale la cosa non mi ha alterato più di tanto.
Anche così trovo che ci siano restrizioni del tutto senza senso. Proibire lo sport individuale e la passeggiata di salute è un boomerang che impedisce sfoghi del tutto normali e fa vivere con stizza anche i provvedimenti più ragionevoli. Idem per la saga delle autocertificazioni, idem per la decisione di aprire i mercati, anche quelli controllabili, alle 8.30 anziché alle 7 semplicemente perché faceva comodo alla GDO, impedendo di andarci la mattina presto e quindi di fatto allungando le file negli orari in cui tutti sono liberi dal lavoro. Nel mio quartiere le file aumentano di botto dopo le 16.30, quando i mercati sono ovviamente già chiusi, sono lunghissime il sabato e alla fin fine creano assembramenti più lunghi e ravvicinati di una gita in famiglia. Chissà come mai.
Dopodiché questione scampagnata, da un certo punto di vista vale la stessa cosa. Se si va da soli, inteso come nucleo di conviventi, in un luogo isolato, non vedo perché no. Con moderazione, d’accordo, ma più tormenti con norme insensate, scontrini da esibire e boiate simili le persone, meno moderazione avrai da loro.
La posizione dei giornali, purtroppo, è quella di concentrarsi sul colmportamento individuale anziché sulle numerosissime falle dell’azione governativa che riguarda le attività collettive obbligate, dal lavoro agli ospedali ai servizi territoriali.
Lo stesso modo di dare le notizie, fidandosi degli osservatori casuali, comporta degli errori, come nel caso delle https://video.repubblica.it/dossier/coronavirus-wuhan-2020/coronavirus-auto-in-coda-a-roma-vanno-a-fare-la-gita-fuori-porta-ma-e-l-effetto-dei-controlli/358077/358635 code dovute ai tempi dei controlli più che alla quantità di irregolarità riscontrate.
Inoltre, francamente, ci rendiamo conto di quanti spostamenti assai meno innocui di una corsa isolata causiamo ad altri con certi comportamenti? Parlo di spostamenti che non si può scegliere di evitare, che sono generalmente quelli lavorativi. Che senso ha prendersela con i gitanti una tantum, se poi approfittiamo della comodità di corpo e di spirito della coscienza a posto perché non siamo usciti, mentre con il commercio online abbiamo consapevolmente o no costretto altri a uscire di casa e lavorare per noi, confezionando nell’ordine, spesso in luoghi chiusi e a condizioni di sicurezza alquanto ballerine: merci, pacchetti di merci, pacchi da spedire, pacchi da smistare, pacchi da consegnare a casa, casa per casa, veicoli da prendere e restituire ecc. ecc.? Capisco gli anziani, i malati, persone che devono stare riguardate e si affidano al pacco online. Capisco che, se ci si rompe il pc, o il cavo o simili ci sia oggi bisogno di rimpiazzarlo senza por tempo in mezzo. Ma per il resto: davvero non potremmo aspettare a sperimentare questo o quel prodotto in un altro momento? Davvero il lavoro e il guadagno possono giustificare « quelle » uscite, mentre la necessità di sgranchirsi le ossa no? Davvero restiamo nell’ambito delle « attività essenziali », purché la merce e il denaro girino?