Forse non tutti sanno che una quindicina di anni fa avevo iniziato con la passione (vivaddio presto sopita) per il Fimo, pasta sintetica modellabile che una volta cotta, a parte esalazioni quasi letali e cancerogene, per le quali è necessario un fornetto a parte, mi ha permesso di sfornare decine e decine di coppie di orecchini che stupidamente regalavo invece di ricavarci due spicci, fosse pure per recuperare i soldi della resina che costava e costa assai.
Ad oggi mi resta come ricordo di quel periodo una coppia di orecchini a forma di sole di Pollon, con tanto di sigaretta in bocca.
Fin dalle elementari adoravo creare delle piccole miniature con la plastilina, che non era però il profumatissimo Didó di oggi ma una roba grigia fetosa, in alcuni casi color rosso mattone, insomma due tinte ben distanti dai colori vivaci ed allegri del già citato Didò, che dovevi manipolare per ore prima che diventasse morbida (e di solito finiva la ricreazione e ciao core). E ci facevo pupazzetti e bestiole.
Alle medie aiutai la prof a creare con il Das, essiccato e poi dipinto, accessori per un presepe in miniatura facendo cestini e cassette di frutta per il pastore ortolano, fette di carne e salsiccette appese per il pastore macellaio, formaggelle e caciocavalli per il pastore…pastore, eccetera.
Per un periodo della mia vita poi avrei voluto fare l’Istituto d’Arte, ceramica a Vietri per la precisione, poi ho scelto di fare tutt’altro.
Ho sempre avuto parecchia manualità tant’è vero che quelle poche cose “a forma di” che ho realizzato anche in campo food erano verosimilmente uguali agli originali. I panini a forma di maiale o i crackers a forma di fetta di formaggio, li ricordate?
Quando ho visto queste uova da Vincenzo Schinella, autore del blog Prendiamoci del Tempo, formate per metà dal bianco sodo e per l’altra metà dal ripieno, ricomposto a simulare un uovo intatto, non ho resistito. Dovevo rifarle.
Anni e anni di plastilina mi sono tornati alla mente, ho avuto un rigurgito di orgoglio del tipo “e chi sono io che non so fare queste uova?” e così le ho rifatte il giorno stesso.
Meno cremose delle sue perché ho contato male i tuorli e ne ho messo uno in più (delle 5 uova della sua lista ingredienti, 4 andavano rassodati ed un altro andava usato per la panatura “a cotoletta” prima di friggerle) ma squisite, anche perché, come vedete in foto, si friggono.
Avevo però un vago ricordo di aver già visto da qualche parte queste uova, che si chiamano alla monacale, e all’improvviso mi sono ricordata di averle già viste da Flavia, autrice del blog Cuoci, Cuci, Dici. Nel suo post lei si autoflagellava perché per tutta la vita le aveva chiamate nella maniera sbagliata: uova alla monachina.
Ma non aveva tutti i torti.
Esistono entrambe le versioni di queste uova sode, successivamente fritte. Quelle alla monacale sono queste che vedete da me, le uova alla monachina invece prevedono innanzitutto la besciamella nella farcia, al posto della ricotta, e si ricompone l’uovo con l’altra metà di bianco. Insomma, due porconate esagerate, col nome praticamente identico.